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Alpa (Cnf): sì alle Adr ma occorre dare sistematicità alla legislazione nazionale


sabato 24 maggio 2008

Alpa (Cnf): sì alle Adr ma occorre dare sistematicità alla legislazione nazionale   
Data Pubblicazione 23/5/2008


Articolo tratto da:
Diritto e Giustizia

“Sui sistemi alternativi di risoluzione delle controversie il legislatore italiano ha preferito seguire la strada di interventi settore per settore, dalla subfornitura alle controversie societarie e da ultimo nella legge sulla class action, definendo per ciascuno regole difformi e organismi deputati diversi. Questo non ha fatto che moltiplicare i riti processuali, creando confusione e ponendo problemi nella stessa interpretazione delle norme”. L’analisi critica del sistema italiano di Adr è del presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, che ieri ha parlato nel corso del convegno Risolvere le controversie senza ricorrere ai tribunali, organizzato dallo stesso Cnf in partnership con la British Italian Law Association (Bila), proprio per indagare pregi e difetti delle due esperienze, italiana e inglese, a confronto. Le questioni aperte sulle Adr sono ancora tante e l’avvocatura, in questo inizio di legislatura, vuole suggerire un metodo per affrontarle. D’altra parte, l’adesione del Cnf al sistema delle misure alternative di risoluzione delle controversie è convinta, ha spiegato Alpa, come dimostrano le numerose iniziative concrete avviate: da ultimo la costituzione, insieme al conciliatore bancario Abi, al notariato e ai commercialisti, di una associazione per la promozione della cultura conciliativa; la richiesta agli ordini forensi locali di istituire camere di conciliazione; i corsi avviati dalla Scuola dell’avvocatura per formare i conciliatori. “Più che i notai o i commercialisti, sono gli avvocati i professionisti più adatti per proporsi come conciliatori”, ha sottolineato Alpa. La confusione in cui spesso è incorso il legislatore italiano è stata sottolineata più volte nel corso degli interventi. Lo ha ribadito Stefano Azzali, della Camera arbitrale nazionale e internazionale di Milano, collegata alla Camera di Commercio, che ha denunciato “il vizio di fondo di considerare le Adr come un salvagente per la giustizia che non funziona”. Azzali ha però evidenziato, partendo dai dati sempre più significativi del sistema camerale (a Milano si è passati da 169 casi del 2003 ai 654 casi nel 2007, di valore anche significativo che è arrivato ai 162mila euro nelle conciliazioni business to business), che anche in Italia il sistema è sempre più apprezzato e che il trend è in costante crescita. Gli avvocati stanno superando il timore di vedersi quote di mercato sottratte e i giudici, a loro volta, guardano alle Adr con meno diffidenza: prova ne è che nella corte di appello di Milano sarà aperto un ufficio ad hoc frutto del progetto Conciliamo che coinvolge Corte di appello e camera di commercio. Che le Adr comportino però un cambio di mentalità anche per gli stessi avvocati è un dato acquisito. Lo ha spiegato bene Michele Marchesiello, ex giudice, che ha focalizzato l’attenzione sulla necessitata interazione, nel sistema italiano basato sulla tutela dei diritti e non degli interessi, tra le Adr e la giurisdizione: “Parte dell’avvocatura è ancora ostile. Invece credo che rispetto alla cultura giuridica in Italia sia utile prevedere una mediazione che, attraverso il giudice, sia affidata a conciliatori”. L’esperienza inglese ha dimostrato che un sistema di Adr efficace ha conseguenze positive in generale sull’economia di un paese. Domenico Di Pietro, dello studio legale Chiomenti, ha raccontato che da quando è in vigore l’English arbitration act, in poco meno di dieci anni Londra è diventata la piazza più richiesta al mondo per le risoluzioni consensuali delle controversie, nonostante gli alti costi dei servizi legali. Ma in Italia, il passaggio dalla teoria alla pratica è ancora difficoltoso. “Nonostante l’apprezzamento generale riguardo la conciliazione societaria introdotta con la riforma Vietti, in pratica non mi risulta che in questi quattro anni ci sia stato un ricorso massiccio”, ha commentato Daniele Santosuosso, ordinario a La Sapienza di Roma. “La ragione sta probabilmente nella propensione del management a difendere comunque le proprie scelte. Più chance può avere la conciliazione commerciale”. Peter Wood, presidente di Bila, ha spiegato che il successo inglese della mediazione sta nei costi del sistema giudiziario e nel consenso dei clienti. Per questo è importante che in Italia gli avvocati comprendano bene il sistema e se ne facciano promotori presso i loro assistiti. “La mediazione è un efficace strumento per trovare un accordo prima di qualsiasi processo”. Sarah Walker, Bird & Bird, ha ricordato che dal 1998 in Gran Bretagna gli avvocati hanno l’obbligo di considerare l’opportunità della mediazione