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Sezione di Barletta

 
   
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Il divieto del pagamento delle spese legali ex art. 9 comma II dPr 254/2006 è “nullo”
Cassazione Civile Sezione III 29 maggio 2015 n.11154.

lunedì 1 giugno 2015

Raramente una sentenza della Suprema Corte è stata commentata da siti giuridici che ne hanno così distorto l’essenza stessa del principio. Affinchè non ci siano dubbi sulla corretta interpretazione, verrà riprodotto il testo della sentenza mediante virgolette. La Suprema Corte inizia stigmatizzando la legge delega, dai dubbi profili costituzionali, contenuta nell’art. 150, 1° co., lett. d) , c. ass., il quale articolo demanda all’esecutivo di determinare, con proprio regolamento, i limiti e le condizioni di risarcibilità dei danni accessori. La Corte individua un primo limite dell’art. 9 comma II dPr 254/2006, che consiste nell’aver illegittimamente distinto tra danno principale e danno accessorio (spese legali, appunto) ed afferma: “tale previsione non è di per sé molto chiara, in quanto alla dottrina ed alla giurisprudenza era sinora sconosciuta la distinzione tra danno principale e danni accessori; si potrebbe pensare forse al danno da ritardato adempimento dell’obbligazione risarcitoria, ma in questo caso oggetto della previsione è la stessa obbligazione risarcitoria, non il danno, il quale o c’è o non c’è, ma se esiste non si vede come possa dividersi in principale ed accessorio. Il regolamento ha illuminato questa ambiguità, chiarendo in sostanza che se il- danneggiato accetta l’offerta, non gli è dovuto alcun risarcimento per il danno eventualmente consistito nelle spese legali, nelle spese peritali di stima del danno al veicolo o di altri danni a cose (ad es., compenso ad un commercialista per una perizia di stima del danno patrimoniale derivato dalla perdita della capacità di guadagno o dall’anticipato pensionamento). Tale previsione, tuttavia, desta varie perplessità”. Un secondo limite dell’art. 9 comma II dPr 254/2006, tale da definirlo testualmente “nullo”, è individuato dalla Corte nel divieto “a priori” ivi contenuto e quindi in severo contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione: “in primo luogo, va rilevato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, il danneggiato ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali; se invece la pretesa risarcitoria sfocia in un giudizio nel quale il richiedente sia vittorioso, le spese legali sostenute nella fase precedente all’instaurazione del giudizio divengono una componente del danno da liquidare e, come tali devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese giudiziali. (Cass. n. 2275/06, Cass.11606/2005). Ora, anche qualora non si volesse condividere l’orientamento giurisprudenziale riportato, resta il fatto che i compensi corrisposti dal danneggiato al proprio avvocato (o ad un perito diverso da quello medico legale) per l’attività stragiudiziale devono poter formare oggetto di domanda di risarcimento nei confronti dell’altra parte a titolo di danno emergente, quando siano state necessarie e giustificate. Tanto si desume dal potere del giudice, ex art. 92, 1° co., c.p.c., di escludere dalla ripetizione le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ove ritenute eccessive o superflue, ed applicabile anche agli effetti della liquidazione del danno rappresentato dalle spese stragiudiziali. Pertanto una norma regolamentare (e quindi una fonte di secondo grado) che escluda a priori il diritto al risarcimento di un tipo di danno che la legge (e quindi una fonte di primo grado) considera altrimenti risarcibile, appare difficilmente compatibile con gli artt. 3 e 24 Cost., ed è perciò nulla, alla luce del principio secondo cui i regolamenti in contrasto con la Costituzione, se non sono sindacabili dalla Corte costituzionali, perche privi di forza di legge, sono comunque disapplicabili dal giudice ordinario, in quanto atti amministrativi, in senso ampio”. La Suprema Corte poi fornisce un terzo motivo di disapplicazione dell’art. 9 comma II dPr 254/2006, soprattutto nella parte in cui questa disposizione normativa distingue gli onorari dei medici legali, da quello degli avvocati (risarcibili i primi a svataggio dei secondi) e, quindi, la Corte ritiene di disapplicarlo tutte le volte in cui il sinistro presenta particolari problemi giuridici, ovvero quando la vittima non ha ricevuto la dovuta assistenza, ex art. 9 comma I dPr 254/2006 dal proprio assicuratore (ossia sempre, perchè le imprese non assistono per nulla i danneggiati, ma loro stesse): “l’interpretazione della norma potrebbe produrre una vera e propria eterogenesi dei suoi fini. Infatti, come accennato, il rimborso delle spese legali non è dovuto solo se il danneggiato accetti l’offerta dell’assicuratore: e dunque è agevole prevedere che il danneggiato tenderà a rifiutare qualsiasi offerta dall’assicuratore, se già ha chiesto assistenza legale o tecnica. Senonchè, osserva questa Corte che la risarcibilità o meno del danno (di qualsiasi danno) dipende dalla sua natura giuridica, non dal suo contenuto economico. Cosi, un danno non patrimoniale potrà non essere risarcibile perche non rientrante nella previsione dell’art. 2059 c.c.; un danno patrimoniale potrà non essere risarcibile perche causato dalla vittima a se stessa, ex art. 1227 c.c.; ma certamente non può mai ammettersi che un danno, altrimenti risarcibile, perda tale sua qualità solo perchè sia consistito nell’avere il danneggiato effettuato un esborso in favore di T piuttosto che di C. Orbene, in tema di danni consistiti in spese erogate a professionisti di cui danneggiato si sia avvalso per ottenere il risarcimento del danno, quel che rileva ai fini della risarcibilità è unicamente la sussistenza di un valido e diretto nesso causale tra il sinistro e la spesa. Dunque le spese consistite in compensi professionali saranno risarcibili o meno non già in base alla veste del percettore (sì al medico legale, no all’avvocato), ma in base alla loro effettiva necessità: dovrà perciò ritenersi sempre risarcibile la spesa per compensare un legale, quando il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando la vittima non ha ricevuto la dovuta assistenza, ex art. 9, co.l, d.p.r. 254/2006, dal proprio assicuratore”. Come corollario inverso e regola di chiusura, la Corte afferma che “sarà sempre irrisarcibile la spesa per compensi all’avvocato, quando la gestione del sinistro non presentava alcuna difficoltà, i danni da esso derivati erano modestissimi e l’assicuratore aveva prontamente offerto la dovuta assistenza al danneggiato”. In altri termini, affinchè l’assicuratore possa pretendere di non risarcire le spese legali devono ricorrere tre condizioni simultaneamente: la gestione del sinistro non deve presentare alcuna difficoltà, i danni da esso derivati devono essere modestissimi e l’assicuratore deve aver prontamente offerto la dovuta assistenza al danneggiato. Che le tre condizioni devono avverarsi contemporaneamente, è fuori di dubbio: infatti, laddove la gestione del sinistro sia semplice, ma l’assicuratore seguiti a non risarcirlo, l’intervento dell’avvocato e le conseguenti spese legali hanno pieno nesso eziologico nel risarcimento; viceversa, laddove l’intervento dell’assicuratore sia sollecito, la gestione del danno sia anche semplice, ma il danno non sia modestissimo (ad esempio: macropermanenti, ovvero danno da uccizione del congiunto), le spese legali devono essere ancora una volta risarcite. Bisogna, tuttavia, intendersi su una delle tre condizioni che l’assicuratore deve soddisfare per andare esente dal pagamento di tale posta, ossia la “gestione del sinistro semplice”: se si tratta di liquidare sbrigativamente il danneggiato, ogni soluzione è semplice, basta fargliela accettare, magari anche mentendogli; se invece si tratta di risarcirlo secondo tutti i criteri previsti dagli artt. 9 dPr 254/2006, 1218 e 1223 cod. civ. nessuna gestione sarà semplice; non solo: per lo stesso motivo, ci sentiremo in dovere di non pagare una semplice sentenza del giudice copia/incolla, la riparazione di un autoveicolo o di un cavo elettrico perchè facile e via via gli esempi si moltiplicano all’infinito, perchè il concetto di facilità è estremanente relativo alla competenza ovvero alla inettitudine dell’operatore professionale: per un medico chirurgo di fama mondiale potrebbe risultare facilissimo asportare una neoplasia di paziente in fin di vita, che invece sarebbe praticamente impossibile per altro professionista medico; per un esperto avvocato infortunista sarebbe semplice gestire anche un sinistro stradale dalla svariate complicazioni, mentre la stessa cosa non potrebbe dirsi per un avvocato matrimonialista ovvero per un avvocato lavorista alle prese con la stessa fattispecie di sinistro stradale. Anche una consulenza potrebbe essere semplice a fronte di anni di studi: ci sentiremo in diritto di non pagarla? Pertanto, la terza condizione non potrebbe mai essere soddisfatta dall’assicuratore perchè nessuna gestione è semplice, ragion per cui consegue che l’assicuratore è sempre tenuto al pagamento delle spese stragiudiziali. Del pari insuperabile la condizione di avvenuta assistenza tecnica, ex art. 9 comma I dPr 254/2006: le imprese non assistono mai il danneggiato, secondo il severissimo (lo si legga) dettato di tale norma. Riassumendo, in ultima analisi, due (gestione facile ed assistenza) delle tre condizioni sono impossibili, men che mai potranno sovente avverarsi simultaneamente. Per queste ragioni, il danno patrimoniale accessorio delle spese legali deve essere sempre risarcito. .

Carmine Lattarulo

Fonte: http://www.studiolegalelattaruloesansonetti.it/