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Sezione di Barletta

 
   
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Cassazione Penale, Sez. IV, 23 ottobre 2008, n. 39882
mercoledì 26 novembre 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

Nei reati colposi la causalità dell’azione (o dell’omissione) che ha condizionato l’evento va esclusa non soltanto qualora risulti, con valutazione "ex post", che sopravvenute concause qualificate siano state da sole sufficienti a determinare l’evento, ma anche qualora l’evento non sia "ex ante" prevedibile. Se l’evento morte è imprevedibile non scatta la responsabilità per omicidio colposo; infatti, anche quando il nesso causale esiste e l’evento rientra nel novero di quelli che la norma cautelare tende a prevenire (cd. concretizzazione del rischio) bisogna comunque svolgere il cosiddetto accertamento del decorso causale. Se la morte si è verificata per un decorso del nesso causale totalmente abnorme o imprevedibile, l’imputato non risponde del reato cui all’art. 589 c.p.

 

Cassazione Penale, Sez. IV, 23 ottobre 2008, n. 39882

FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava la condanna di Z.E. e T. P. per l'omicidio colposo di PA.Ro.

1.1. PA.Ro., affetto da morbo di Alzheimer e da demenza senile, si era allontanato dalla comunità psichiatrica di (omissis) presso la quale era ospitato intorno alle ore 20,30 del (omissis).

L'uomo era stato ritrovato cadavere il successivo (omissis), grazie alla segnalazione di alcune persone che avevano percepito un "forte odore" provenire da un luogo (in (omissis)), in cui erano ubicate opere di pertinenza di un tratto autostradale, servito soltanto da un viottolo "semiscomparso nella vegetazione" e privo di uscita. Il cadavere era in avanzato stato di decomposizione.

Non si era riusciti a sapere - esordivano i giudici d'appello - "cosa fosse avvenuto in quei dieci giorni"; si era potuto soltanto stabilire, a seguito dell'esame autoptico, che la morte era stata determinata da un'emorragia intracranica.

1.2. Premetteva la Corte che "l'accaduto era affidato a ricostruzioni congetturali" delle quali era "chiamata a verificare la rispondenza ai pochi dati oggettivi disponibili".

Presentavano, tuttavia, secondo la Corte di merito, "aspetti di notevole verosimiglianza" le conclusioni cui era pervenuto il perito medico-legale, Dott. O.V., nominato nel giudizio di appello. Affidandosi a detto responso riteneva la Corte che, lasciata la comunità, PA.Ro., "marciando sempre diritto" (condotta tipica del wandering demenziale, già tenuta dal PA. in occasione di altro allontanamento dall'ospedale risalente al (omissis)) fosse giunto, intorno alle ore 5,30 del giorno successivo, nel luogo in cui era stato rinvenuto cadavere, intrappolato ("incastrato con una gamba, fino all'inguine") in un buco esistente tra il bordo della griglia di un pozzetto (parzialmente nascosta dai rovi e dalla vegetazione spontanea e, quindi, "non visibile da una persona di passaggio") ed il circostante terreno.

L'emorragia era sopravvenuta per "cause esterne" (il caldo fino a 30 gradi, il freddo della notte, lo shock dell'intrappolamento, il digiuno, la disidratazione).

PA., d'altra parte, non era mai stato curato per patologie che potessero essere poste in correlazione con l'emorragia cerebrale, né vi erano stati segni premonitori.

La fuga afinalistica, sempre in avanti, senza meta e senza sosta, lo aveva portato direttamente in quel luogo e lì era scivolato, incespicando nell'improvvisa cavità del terreno.

La posizione del corpo (la gamba sinistra in verticale dentro la cavità e quella destra in orizzontale sulla griglia) non era, tuttavia, quella di chi fosse caduto esanime in quel punto.

PA. era, infatti, "steso bocconi ... abbarbicato alla grata", in una posizione che lasciava intendere che avesse cercato di rialzarsi; senza, peraltro - come spiegato dal medico-legale - "potersi rendere conto di come riuscire a liberarsi, a disincastrarsi" perchè "chi soffre di demenza senile non è capace di ripetere all'indietro il gesto che l'ha condotto a porsi in una situazione di difficoltà; anche se ha la possibilità materiale di liberarsi, continua a persistere nell'impulso in avanti che lo ha condotto in quella pericolosa posizione, spesso con esiti letali se non interviene qualcuno in soccorso".

Era presumibile, anzi, che proprio i movimenti dovuti al tentativo di liberarsi avessero fatto cadere il piede interamente nel buco.

Secondo la Corte territoriale, dunque, la morte del PA. era da porsi "in nesso di consequenzialità" con la "parziale caduta nel vuoto laterale al pozzetto".

Egli era morto dopo la caduta, in un momento che non era stato possibile precisare, per il sopravvenire dell'anzidetta emorragia.

Escludeva, dunque, la Corte che l'emorragia fosse stata la causa della caduta (come sostenuto dalla dottoressa M., consulente tecnico della difesa), presupponendo detta ipotesi una concatenazione di coincidenze "altamente improbabile" (la crisi; l'afflosciarsi della persona su se stessa; lo scivolamento del piede proprio in una cavità del terreno, con sprofondamento della sola gamba sinistra all'interno del pozzetto).

In ogni caso, lo stato del cadavere non aveva permesso di rilevare eventuali segni di lesioni, nè si era verificato se la gamba incastrata avesse riportato fratture.

1.2. Con riguardo al citato pozzetto, la Corte rilevava che il tecnico nominato dal pubblico ministero, geom. B.D., ne aveva fatto risalire la costruzione ai lavori eseguiti per la realizzazione dell'autostrada (omissis) (di cui costituiva pertinenza).

Il "vuoto laterale" (tra il lato esterno della grata ed il terreno circostante) di cui si è detto si era formato a causa di un parziale cedimento di un bordo del pozzetto.

Un cordolo di cemento che definiva il manufatto era apparso di scarsa consistenza strutturale e in condizioni di degrado ed il consulente tecnico aveva affermato che non era stato costruito un lato del pozzetto sul quale era collocata la griglia.

Il cordolo che aveva ceduto avrebbe dovuto poggiare proprio su detto lato; per l'assenza di sostegno era divenuto, invece, a sua volta portante "senza averne le caratteristiche intrinseche di necessaria solidità".

In altre parole, il pozzetto non era stato costruito a regola d'arte e la mancanza di un lato verticale aveva reso possibile il dilavamento del terreno fino alla formazione dello spazio vuoto in cui era caduto il PA.

La Corte di appello (al pari del Tribunale) faceva proprio detto responso tecnico, ribadendo l'esistenza di un difetto di costruzione del pozzetto, che era risultato privo di chiusura da un lato e munito di un cordolo inidoneo sia a costituire il completamento dell'opera, sia a reggere il peso di una persona che lo avesse calpestato.

Anche a volere ammettere - precisava la Corte - che vi fosse stata una successiva manomissione ad opera di terzi (alcune parti della griglia erano state piegate con l'evidente utilizzazione di una leva), restava il fatto che il pozzetto presentava un vizio costruttivo che aveva reso possibile l'apertura del varco rivelatasi fatale per il PA.

La costruzione a regola d'arte del pozzetto, con i suoi quattro lati verticali e senza un cordolo posticcio di mero contenimento del terreno superficiale, avrebbe evitato sia il naturale degrado dell'opera, sia la manomissione da parte di terzi (non sarebbe, tra l'altro, stato possibile raggiungerne l'interno, a meno di non riuscire a sollevare o a distruggere la grata di copertura).

E soltanto in tal caso l'eventuale manomissione, ad insaputa del costruttore, tale da rendere pericoloso ciò che prima non lo era, non avrebbe potuto essere al medesimo addebitata.

Nel caso in esame, invece, il cordolo non era idoneo a svolgere la propria funzione e non avrebbe potuto offrire resistenza alcuna all'ipotizzabile manomissione.

1.3. Del difetto costruttivo dovevano rispondere, secondo la Corte, Z. e T., il primo quale capo cantiere del tratto autostradale interessato, il secondo come direttore tecnico della S.r.l. B & V Costruzioni, impresa che aveva realizzato i lavori.

Non era rilevante, al fine di escludere la loro responsabilità, che fossero stati effettuati interventi periodici di manutenzione e di ispezione delle opere, dei condotti, dei tombini e dei sifoni accessori ai percorsi stradali, atteso che quel difetto costruttivo era persistito e la situazione di pericolo si era, anzi, aggravata per l'incidenza dei fattori naturali di erosione del terreno "verso il vuoto".

In particolare, il T. era il direttore dei lavori di realizzazione delle pertinenze stradali e non aveva documentato di avere delegato ad altri la sua posizione di garanzia.

La mancanza di un lato verticale del manufatto aveva lasciato il medesimo esposto all'entrata della terra dilavata dagli eventi atmosferici naturali.

Inoltre, la chiusura della superficie orizzontale, da quella parte, con una striscia di materiale privo di intrinseca anima metallica, aveva lasciato il pozzetto sprovvisto di un'efficace prevenzione contro i rischi di formazione di vuoti, di calpestamenti occasionali e di azioni lesive da parte di terzi.

Era prevedibile, pertanto, il formarsi di una cavità che, nel tempo, avrebbe potuto costituire un'insidia per chi si fosse trovato a transitare in quei luoghi.

È vero che si trattava di luoghi "defilati" e che quel viottolo "non conduceva da nessuna parte", ma non poteva escludersi che qualcuno potesse camminare in aperta campagna, senza contare che la zona era oggetto di accessi periodici per attività di ispezione e di manutenzione.

2. Avverso l'anzidetta sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, per mezzo dei rispettivi difensori, chiedendone l'annullamento.

3. Il difensore dell'imputato Z. affida le proprie doglianze a due motivi.

3.1. Con il primo motivo deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta contestata e l'evento-morte.

La Corte, in assenza di dati certi, aveva effettuato una ricostruzione congetturale.

Non era stato possibile, invero, stabilire né il momento della caduta, né quello del decesso.

Era certo soltanto che il PA. si fosse allontanato dalla comunità intorno alle ore 20,30 del (omissis), che fosse stato trovato il suo cadavere, in condizioni di putrefazione, il (omissis), che fosse stato colto da emorragia intracranica e che il suo corpo non presentava "evidenti lesioni".

Tutte le restanti affermazioni costituivano mere congetture, affermazioni tutt'al più "possibiliste".

L'esistenza del rapporto di causalità deve, invece, essere "riscontrata con sufficiente grado di certezza" e non sulla base di "criteri intuitivi".

3.2. Con il secondo motivo lamenta inosservanza dell'art. 41 c.p., comma 2, e "vizio di motivazione".

La Corte avrebbe trascurato "l'ipotesi relativa ad una causalità alternativa o addizionale nel procedimento di descrizione dell'evento". Il riferimento è alla tesi del consulente tecnico della difesa secondo cui il PA. potrebbe essere caduto a causa dell'emorragia cerebrale. Si tratterebbe di valida ipotesi alternativa, del tutto attendibile, e ciò nonostante trascurata dalla Corte.

4. Il difensore dell'imputato T. articola sei motivi.

4.1. Con il primo motivo del ricorso deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nonché violazione dell'art. 40 c.p., comma 1, in relazione alla "condotta" ipotizzata.

In particolare, il ricorrente lamenta palese carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di un vizio di costruzione del pozzetto.

Il consulente tecnico del pubblico ministero, geometra B., aveva inferito l'inidoneità del cordolo a reggere il peso di un uomo assumendo che il PA. ne avesse fatto cedere una parte (50 centimetri su oltre 120 di larghezza).

Si tratta, peraltro, di affermazione immotivata, in relazione alla quale "non è stato fornito alcun calcolo".

L'attività di manutenzione si era protratta per nove anni e questo dimostrava che il pozzetto era stato costruito a regola d'arte.

Era crollato soltanto per l'intervento di terzi ed in minima parte.

La tecnica impiegata per la realizzazione era idonea, come appariva dimostrato dal fatto che la maggior parte del cordolo (75 centimetri su 125) era rimasta "in opera".

4.2. Con il secondo motivo del ricorso lamenta mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nonché violazione di legge (art. 40 c.p., comma 1, e art. 530 c.p.p., comma 2) in relazione alla ritenuta sussistenza dei rapporto di causalità tra la condotta ascritta all'imputato (la non costruzione a regola d'arte del pozzetto) e la morte del PA..

È errato, secondo il ricorrente, il ragionamento in base al quale la Corte aveva escluso che l'ipotesi alternativa, formulata dal consulente tecnico della difesa, fosse concretamente inverosimile; la sentenza impugnata afferma, invero, che l'ipotesi "principale" è più verosimile di quella alternativa, ma ciò non soddisfa l'obbligo di spiegare le ragioni per cui i fatti non potrebbero essersi svolti nel modo alternativamente ipotizzato.

Non è dubbio che si tratti di ipotesi meno probabile - ammette il ricorrente - ma non è immotivata né meramente congetturale.

La sentenza valorizza, inoltre, il fatto che PA. non soffrisse di ipertensione e che non vi fossero stati sintomi premonitori dell'emorragia cerebrale.

Trascura, tuttavia, di considerare che certamente PA., dopo aver camminato per un'intera notte, si era venuto a trovare in uno stato di estrema spossatezza e che l'esistenza di eventuali sintomi premonitori, se i medesimi si fossero verificati dopo il suo allontanamento dalla comunità, non avrebbe mai potuto essere percepita e documentata.

La sentenza impugnata, osserva il ricorrente, si contraddice, inoltre, là dove, dopo avere affermato che si trattava di persona in condizioni psico-fisiche compromesse dalla patologia senile, afferma che PA. sarebbe giunto in quel luogo in condizioni tali da potersi ritenere insussistenti "stress ed affaticamento".

Resta, inoltre, da dimostrare che PA., uscito dalla clinica, si fosse diretto, "univocamente e senza tentennamenti", oltre che ad una velocità costante, nel luogo, distante 15 chilometri, in cui era stato poi ritrovato cadavere.

E, comunque, se così fosse accaduto, sarebbe arrivato in luogo in condizioni di assoluta spossatezza, affamato ed assetato, sottoposto ad uno stress "abnorme" per una persona di oltre sessanta anni "in condizioni di demenza senile".

Perchè allora - si chiede il ricorrente - tutte le considerazioni sul caldo, sul freddo, sulla fame, ecc, che dovrebbero valere "dopo l'intrappolamento", non avrebbero alcun valore se riferito ai momenti antecedenti.

Si aggiunga che l'emorragia cerebrale non sempre provoca la morte istantanea nel soggetto che ne è colpito.

PA. avrebbe, dunque, avuto anche il tempo, una volta crollato a terra per l'emorragia, di aggrapparsi con una mano alla grata, salvo poi morire in un tempo più o meno lungo; se così non fosse stato - rileva il ricorrente - non si vede quale rilevanza avrebbe il fatto che il cadavere fosse stato ritrovato con una mano "facente presa sulla grata". Le fotografie mostravano, tra l'altro, una mano "appoggiata" alla grata, non una mano che "afferrava" la grata.

4.3. Con il terzo motivo del ricorso lamenta mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nonché violazione di legge (art. 40 c.p., comma 1, art. 41 c.p., comma 2, e art. 43 c.p.) in ordine "all'accertamento del decorso causale".

L'imputato - spiega il difensore - non deve rispondere dell'evento "per carenza di causalità della presunta colpa".

In quelle condizioni psico-fisiche (wandering associato a demenza senile), PA., fuggito dalla casa di riposo ed abbandonato a sè stesso, sarebbe comunque morto, come chiaramente affermato dal perito.

In ogni caso, la morte si è verificata per un decorso del nesso causale totalmente abnorme e/o imprevedibile: la malattia del PA. e il suo conseguente "intrappolamento".

Chiunque fosse caduto nel pozzetto, sarebbe riuscito ad uscirne, ma il particolare stato psico-fisico del PA. aveva fatto sì che questi, benché si fosse dibattuto per disincastrarsi, non ne fosse uscito.

Anche quando il nesso causale esiste e l'evento rientra nel novero di quelli che la norma cautelare tende a prevenire (cd. concretizzazione del rischio) occorre comunque svolgere il cd. accertamento del decorso causale.

Se davvero qualcuno fosse scivolato nell'avvallamento e, battendo il capo, fosse morto, il ragionamento della Corte di appello potrebbe essere corretto.

Nel caso di specie, però, PA. era morto per un'emorragia intracranica non riconducibile ad un evento traumatico.

Si aggiunga che il problema del cordolo era "fuorviante".

Appariva dimostrato che il terreno era stato eroso dagli eventi atmosferici proprio nel punto in cui era visibile la mancanza di una porzione del cordolo medesimo.

Segno questo di una rottura del cordolo risalente nel tempo; non vi era, in altre parole, alcuna prova che fosse stato PA., con il proprio peso, a rompere il cordolo.

Era, invece, assai più probabile che PA. si fosse infilato in una buca che già esisteva.

Il cordolo era, dunque, già rotto e, pertanto, che fosse o no autoportante non è rilevante.

Ma se anche il cordolo fosse rimasto integro, una volta rovinatasi la casseratura, la buca nel terreno, a fianco della grata, si sarebbe ugualmente creata.

La manutenzione periodica avrebbe imposto di prendere atto che, dopo alcuni anni, la casseratura aveva ceduto e che si era creato un avvallamento.

Una corretta manutenzione avrebbe altresì imposto di pulire il pozzetto dalle sterpaglie, rendendo visibili eventuali "insidie".

La carenza di manutenzione era, invece, stata tale da determinare un anomalo decorso causale.

Ma la manutenzione non spettava al T. che era il direttore tecnico dell'impresa appaltatrice; competeva, una volta terminati e collaudati i lavori, al committente dei medesimi.

Erroneamente, pertanto, la Corte di merito aveva affermato che poco importava che fossero stati effettuati interventi periodici di manutenzione e di ispezione delle opere.

Ma anche ipotizzando - prosegue il ricorrente - che il lato del pozzetto non fosse proprio stato costruito (neppure mediante una casseratura vuota), si potrebbe ritenere che uno degli scopi della norma di buona costruzione fosse quello di evitare la formazione di buche nel terreno circostante in cui chiunque avrebbe potuto scivolare e farsi male.

In tal caso, è indubbio che la morte di un soggetto che si infili in siffatta buca concretizzerebbe il rischio che la norma cautelare tende ad evitare.

Ma, nel caso di specie, PA. non era morto per un vero "Intrappolamento", ma era morto perchè "a causa delle sue particolari condizioni psicofisiche", non era stato in grado di liberarsi da un insidia che per un "soggetto normale" non sarebbe stata causa di morte.

Si aggiunga che sul cadavere non erano stati rinvenuti segni di traumatismi tali da poter affermare che la caduta avesse direttamente prodotto l'evento lesivo/mortale.

In concreto, pertanto, l'evento non si era verificato per un decorso causale normale e prevedibile, ma eccezionale ed atipico.

4.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge (art. 41 c.p., comma 2, art. 40 c.p., comma 1, e art. 43 c.p.) "in ordine all'ipotesi alternativa, formulata dalla stessa Corte, sulla causa della formazione del buco".

Secondo la sentenza impugnata, una volta verificata l'esecuzione del pozzetto non a regola d'arte, sarebbe irrilevante chiedersi se la rottura del cordolo di cemento e la formazione del buco fossero state opera, colposa o dolosa, di terzi.

Ma - rileva il ricorrente - se terzi sono intervenuti per forzare le grate, per rompere il cordolo e/o per praticare il buco nel terreno allo scopo di infilarvi un tubo di adduzione d'acqua (la stessa Corte ha ipotizzato che il buco nel terreno potesse essere stato causato da terzi interessati a prelevare l'acqua del canale irriguo), si è al cospetto di accadimenti che, rispetto al costruttore, si configurano come eccezionali, ai sensi e per gli effetti dell'art. 41 c.p., comma 2, o comunque tali ad alterare il regolare decorso causale.

4.5. Con il quinto motivo lamenta mancanza di motivazione, nonché violazione dell'art. 40 c.p., dell'art. 27 Cost., comma 1, e del principio del libero convincimento del giudice "in ordine alla sussistenza di una posizione di garanzia in capo al T. ed all'affermata assenza di delega di funzioni".

La condotta ascritta al T. non consiste nell'avere costruito male il pozzetto, ma nel non essersi accorto che lo stesso era stato costruito male (culpa in vigilando).

Tuttavia, trattandosi di particolare costruttivo (muretto di sostegno) interno all'opera (pozzetto), il difetto di esecuzione era rilevabile esclusivamente da chi fosse stato presente durante l'esecuzione dell'opera stessa.

Tra le mansioni del T. non sussisteva quella di una verifica puntuale e dettagliata di ogni aspetto costruttivo dell'opera.

In particolare, non costituiva obbligo del T. la verifica della regolare esecuzione del particolare costruttivo (occulto) in questione.

Nel caso di specie, pertanto, la posizione di garanzia poteva individuarsi in capo, oltre a chi materialmente aveva eseguito il lavoro di costruzione del pozzetto, a soggetti specificamente preposti al cantiere, non dunque al T. il cui ruolo era "quello tecnico - organizzativo ed amministrativo emergente dalla procura che lo riguardava" e che non risultava, tra l'altro, essere mai stato informato dell'esistenza dell'asserito difetto.

4.6. Con l'ultimo motivo si duole della mancanza di motivazione "sull'elemento soggettivo".

La sentenza d'appello nulla avrebbe argomentato in ordine all'elemento soggettivo del reato, essendosi limitata ad affermare la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al T..

In tal senso i giudici di appello non hanno minimamente considerato lo specifico motivo formulato con l'atto di impugnazione avverso la sentenza di primo grado.

 
Diritto
 

5. I ricorsi meritano accoglimento nei termini di seguito precisati.

5.1. Deve premettersi che non sussistono illogicità nelle considerazioni sviluppate dalla Corte di merito (sulla scia dell'elaborazione proposta dal consulente tecnico del pubblico ministero) in ordine all'esistenza di un difetto di costruzione del pozzetto (non ne era stato costruito un lato verticale) ed alla circostanza che la mancanza del lato verticale del pozzetto avesse reso possibile sia la formazione dello spazio vuoto, sia il calpestamento e l'eventuale manomissione del cordolo, privo di adeguata solidità.

In questo senso è immune da vizi logici anche l'affermazione secondo cui appariva irrilevante chiedersi se detto cordolo fosse stato manomesso, oltre che calpestato, atteso che, se fosse stato costruito il lato mancante, non sarebbe stato possibile raggiungere l'interno del pozzetto senza sollevare o distruggere la grata di copertura.

È, dunque, palese l'infondatezza del primo motivo del ricorso presentato nell'interesse dell'imputato T. che, per evitare di confrontarsi con l'affermazione secondo cui il vizio era da individuarsi nella mancata costruzione di un lato del pozzetto, concentra ogni attenzione sulla asserita solidità del cordolo.

È vero, peraltro, come lamenta il ricorrente nel terzo motivo, che sarebbero stati necessari approfondimenti in ordine alla presa in consegna dell'opera da parte del committente, avvenuta molti anni prima, nonché alle ragioni per cui, a fronte di un pozzetto, costruito in quel modo, nessuno, in sede di collaudo o di successiva manutenzione, se ne fosse lamentato, né avesse rilevato le pericolose conseguenze scaturitene (il buco si era, invero, formato nel tempo, certamente dopo la consegna dell'opera dal costruttore al committente, a seguito dell'erosione del terreno e forse anche di manomissioni).

5.2. A ciò, tuttavia, va premesso che la ricostruzione della vicenda proposta dalla Corte d'appello è in gran parte frutto dell'elaborazione di astratte congetture anziché della valutazione di concreti elementi probatori.

Il ragionamento probatorio deve rispondere, oltre che ai postulati della logica, alle regole disegnate, per il giudizio di merito, anche dall'art. 192 c.p.p., comma 2, alla stregua del quale l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.

Beninteso, l'accertamento del nesso di causalità non ha regole diverse da quelle di ogni altro accertamento giudiziale e può fondarsi anche sul coordinamento di una pluralità di indizi che valutati singolarmente sarebbero insufficienti a garantire conclusioni attendibili.

In altre parole, la prova ben può risultare da indizi; essi, però, devono fondarsi su circostanze di fatto certe.

L'indizio è, invero, un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare (cfr. per tutte Cass. S.U. 4 febbraio 1992, p.m. in c. Musumeci, RV 191230).

L'esistenza del factum probans non può quindi essere supposta o intuita; benché l'art. 192 c.p.p. non lo dica espressamente, ciascuna circostanza di fatto assumibile come indizio deve necessariamente essere caratterizzata dal requisito della certezza, che postula la verifica processuale in ordine alla reale sussistenza della circostanza medesima.

Non può, quindi, essere consentito fondare la prova su un fatto supposto, inammissibilmente valorizzando una mera congettura.

La sentenza impugnata ha, invece, desunto la validità della ricostruzione proposta da circostanze non certe, rectius ha costruito la prova positiva di responsabilità degli imputati su dati congetturali, da essa stessa, tra l'altro, definiti come tali con espressione di palese ambiguità ("l'accaduto è affidato a ricostruzioni congetturali delle quali la Corte è chiamata a verificare la rispondenza ai pochi dati oggettivi disponibili").

Così, in particolare, pur non essendosi potuto stabilire il momento della morte, la Corte di merito suppone che PA. sia arrivato in quel luogo, la mattina presto, dopo ore di ininterrotto cammino.

Presume, poi, che queste ore di ininterrotto cammino non abbiano creato le condizioni scatenanti l'emorragia intracranica (ed i relativi segni premonitori), che ha materialmente causato la morte dell'uomo.

Ipotizza, ancora, in modo incoerente, che PA., benché si trovasse in condizioni psico-fisiche compromesse dalla patologia senile, sarebbe giunto in quel luogo "non in condizioni di stress ed affaticamento particolari".

Esclude, infine, illogicamente la possibilità che i fatti potessero essersi svolti in modo diverso, quando, invece, la ricostruzione alternativa prospettata (ed in particolare che l'emorragia intracranica potesse anche essersi sviluppata prima della caduta) non era immotivata, né maggiormente congetturale.

E l'impossibilità di escludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, i fattori causali alternativi non consente di ritenere processualmente certo il rapporto di causalità.

L'affermazione della responsabilità penale deve, in altre parole, necessariamente fondarsi su prove inconfutabili.

5.3. Ma, quand'anche si ritenesse che la ricostruzione fattuale sia stata correttamente effettuata, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata si imporrebbe per le seguenti ulteriori considerazioni.

Nei reati colposi la causalità dell'azione (o dell'omissione) che ha condizionato l'evento va esclusa non soltanto qualora risulti, con valutazione ex post, che sopravvenute concause qualificate siano state da sole sufficienti a determinare l'evento (come prevede l'art. 41 c.p., comma 2), ma anche qualora l'evento non sia ex ante prevedibile.

Sotto quest'ultimo profilo, l'individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta colposa abbia concorso a determinare l'evento, ma se l'autore della stessa, o l'uomo di media consapevolezza, potesse prevedere quello specifico sviluppo causale.

Ed in tal senso la violazione della regola cautelare non è sufficiente; occorre altresì chiedersi se l'evento derivatone (per quanto riguarda l'omicidio colposo, la morte per come verificatasi hic et nunc) rappresenti o meno la concretizzazione del rischio che la regola stessa mirava a prevenire (cfr. Cass. 4^ 18 marzo 2004, Fatuzzo, RV 228585).

Si impone, pertanto, una valutazione di prevedibilità o imprevedibilità dell'evento per stabilire se quello concretamente verificatosi sia, come afferma autorevole dottrina, "tipico".

L'inosservanza delle regole cautelari può, invero, dare luogo ad una responsabilità colposa soltanto per gli eventi che le regole stesse mirano ad evitare.

La regola cautelare può, dunque, concretizzarsi nei confronti dell'evento soltanto qualora l'evento sia prevedibile ex ante.

Quindi, la violazione di una regola può essere condizione della morte di un uomo, ma se il verificarsi di essa era imprevedibile, l'omicidio colposo non si configura perchè la prevedibilità ex ante dell'evento appartiene alla struttura di detto reato.

I principi anzidetti non sono stati applicati nel caso in esame.

Si sarebbe altrimenti rilevato che il citato vizio di costruzione avrebbe sì potuto essere condizione della morte di un uomo; in concreto, però, la morte si era verificata perchè P. non era riuscito a fare ciò che, in assenza di quella particolare malattia, sarebbe invece riuscito, vale a dire togliere il piede da quel buco.

Lo afferma la stessa Corte, evocando le dichiarazioni del medico - legale: PA. non poteva rendersi "conto di come riuscire a liberarsi, a disincastrarsi" perchè "chi soffre di demenza senile non è capace di ripetere all'indietro il gesto che l'ha condotto a porsi in una situazione di difficoltà; anche se ha la possibilità materiale di liberarsi, continua a persistere nell'impulso in avanti che lo ha condotto in quella pericolosa posizione, spesso con esiti letali se non interviene qualcuno in soccorso".

La morte, così ridescritta nei suoi elementi essenziali (nella consapevolezza che un'opera di ridescrizione eccessivamente analitica genera il rischio di un allargamento a dismisura dei casi in cui sarebbe possibile addurre l'imprevedibilità dell'evento), era per gli imputati evento imprevedibile.

La condotta colposa loro addebitata (la difettosa costruzione del pozzetto) non è conforme al modello legale di concreta negligenza, imprudenza ecc. nei confronti della causazione di "quella" morte.

6. In conclusione, la decisione impugnata va annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.

Sussistono, inoltre, giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese di questo grado di giudizio.

 
P.Q.M.
 

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti degli imputati perchè il fatto non sussiste.

Dichiara interamente compensate fra le parti le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 1° ottobre 2008.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2008