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Sezione di Barletta

 
   
martedì 19 marzo 2024 - ore 07:12
Cass. Penale – Sez. V – Sent. del 27.03.2008 n. 13089
martedì 1 aprile 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

Il cliente può lamentarsi anche per iscritto del suo avvocato, purchè le critiche abbiano un fondamento di verità. Altrimenti si rischia una condanna per diffamazione.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. EDOARDO F’AZZIOLI
l.Dott. ANDREA COLONNESE
2. ‘ PAOLO OLDI
3. “ MAURIZIO FUMO
4. ANTONIO DIDONE

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da: M. ROBERTO (P.C.)

nei confronti di: M. CATERINA

avverso la SENTENZA del 23/01/2006 TRIBUNALE di ROMA

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO OLDI; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito Moretti che ha concluso per il rigetto del ricorso; Udito, per la parte civile, l’Avv. Alessandro O.; Udito il difensore Avv. Giuseppe C.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 23 gennaio 2006 il Tribunale di Roma in composizione monocratica, riformando la contraria decisione assunta dal locale giudice di pace, ha assolto Caterina M. dalle imputazioni di ingiuria e diffamazione aggravate in danno di Roberto M. , con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.

In fatto era accaduto che la M. avesse indirizzato all’Avv. Roberto M. e per conoscenza a Maria P. e Saverio C. , una lettera contenente le seguenti espressioni: “.. .mi sembradi aver subito una serie di pressioni mascherate da molta Sua disponibilità... mi sono dovuta accontentare di una Sua Lontana consulenza telefonica alla controparte, risultata inefficace, con conseguente ed evidente mio danno economico... con insistenza Lei mi ha convinto a desistere dal mio deciso atteggiamento, invitandomi a definire e chiuderela vicenda il 14.09.2002... sia Lei che l’Avv. M. facendomi credere... mi sono sentita in dovere di accettare una clausola vessatoria, che assolutamente non ha ragione di esistere”.

Ha ritenuto il Tribunale che le espressioni adottate non avessero carattere lesivo e che l’autrice dello scritto, non animata da intenti offensivi, si fosse mantenuta entro i limiti del dirittodi critica, in riferimento all’operato del proprio avvocato in una vicenda di carattere stragiudiziale.

Ha proposto ricorso per cassazione l’Avv. M. , costituitosi parte civile, affidandolo a quattro motivi.

Col primo motivo il ricorrente deduce il superamento dei limiti posti al diritto di critica, rilevando che le frasi contenute nella lettera fanno riferimento non a un’eventuale negligenza o imperizia del professionista, ma ad una sua volontàdi favorire la controparte contrattuale. Col secondo motivo denuncia illogicità della motivazione, nel passo in cui il Tribunale ha valorizzato la conclusiva disponibilità della M. a ricredersi su quanto da essa affermato.

Col terzo motivo sottolinea che l’imputata ha accusato il professionista di essersi astenuto dallo svolgimento di un’attività processuale della quale, invece, egli non era stato officiato.

Col quarto — e ultimo — motivo, infine, il ricorrente deduce contraddittorietà fra la motivazione, nella quale il Tribunale par applicare la scriminante deI diritto di critica, e la formula assolutoria “perché il fatto non costituisce reato”.

Il primo motivo è fondato, con efficacia assorbente nei confronti degli altri tre.

Fermo l’accertamento, ad opera del giudice di merito, del fatto materiale consistito nell’inoltro — all’Avv. M. e a terzi per conoscenza — di una lettera contenente le espressioni riprodotte nel capo d’imputazione e ricordate nella suesposta narrativa, si osserva che la motivazione della sentenza impugnata oscilla tra la negazione della valenza offensiva dello scritto senza però che tali rilievi negativi rivestano effettivo carattere lesivo dell’onore, del decoro e della reputazione del soggetto cui erano destinati le espressioni usate non sonodi per sé munite di inequivocabile ed intrinseca potenzialità offensiva e la ritenuta applicabilità della scriminante del diritto di critica non può ritenersi precluso l’esercizio del diritto di critica le censure sono strettamente ed esclusivamente collegate all’oggetto del mandato conferito, concludendosi poi con un accenno alla ritenuta mancanzadi dolo deve escludersi che la M. fosse animata dalla volontà di arrecare pregiudizio al patrimonio morale ed alla reputazione professionale dell’Avv. M. così incorrendo in perplessità e contraddittorietà che non hanno mancatodi riverberarsi sull’incerta lettura della formula assolutoria adottata nel dispositivo, compatibile tanto con l’esclusione del dolo, quanto con l’applicazione dell’esimente.

La sentenza impugnata, considerato, peraltro, che non ha svolto alcuna indagine in ordine alla sussistenza del requisito della verità, deve, pertanto, essere annullata, demandando al giudicedi rinvio di stabilire:

a) se le espressioni adottate dalla cliente con le quali criticava l’assetto giuridico scaturito dal contratto suggerito dal legale contengano apprezzamenti negativi con particolare riferimento alle parti concernentila professionalità dell’avv. M. , alla lealtà verso la cliente, alle “pressioni mascherate”, alla consulenza telefonica alla controparte, alla circostanza di aver “fatto credere” alla ricorrente qualcosa che non rispondeva alla realtà, all’aver accomunato il comportamento dell’avv. M. a quello del legale di controparte si siano mantenute nei limiti del diritto di critica, tenendo presente che quando questo consiste nella attribuzione di un fatto determinato è necessario che sussista il requisito della verità del fatto riferito e criticato (vedi al riguardo per tutte Cass. 31 gennaio 2007, lannuzzi ed altri in materiadi diffamazione a meno stampa, applicabile anche al di fuori ditale contesto ed altresì in riferimento al delitto di ingiuria — Cass. 13 gennaio 2004, BoLdrini — concorrente nel caso in esame con la diffamazione — Cass. 4 febbraio 2002, Gaspari e Cass. 7 luglio 1983, Loy);

b) se sussiste l’elemento soggettivo che per entrambi i reati contestati consiste nel dolo generico, vale a dire nella coscienza e volontàdi ricorrere all’uso di parole od espressioni socialmente interpretabili come offensive, non rilevando le intenzioni dell’agente.

L’annullamento opera anche agli effetti penali, attesa la perdurante applicabilità alla fattispecie dell’art. 577 c.p.p., la cui abrogazione è di data posteriore alla pronuncia della sentenza di secondo grado (v. Cass. Sez. Un. 29 marzo 2007, p.c. in proc. Lista, in motivazione).

lI giudice di rinvio, che si designa nello stesso Tribunale di Roma in persona di altro magistrato, sottoporrà la vicenda a rinnovato esame attenendosi ai suindicati principi.

P.Q.M.

la Corte annulla la sentenza impugnata — anche agli effetti penali — e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma in composizione monocratica.

Depositata in Cancelleria il 27.03.2008