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Cassazione civile , sez. III, sentenza 26.01.2009 n. 1861
lunedì 23 febbraio 2009 - Pubblicazione a cura di

Locazione, simulazione, norme imperative, elusione, buona fede.
Il comportamento delle parti diretto ad eludere l'applicazione di norme imperative di legge, allo scopo di conseguire somme non dovute vale di per sé a superare la presunzione di buona fede dell'accipiens, agli effetti della restituzione dell'indebito, ove si concretizzi in atti che inequivocabilmente dimostrino la consapevolezza dell'esistenza della norma imperativa ed il deliberato intento di eluderne gli effetti.
La coeva stipulazione di due contratti di locazione: uno simulato, recante l'indicazione del canone conforme alla legge, ed altro dissimulato, recante l'indicazione del canone realmente richiesto, integra gli estremi di cui sopra ed impedisce di applicare la presunzione di buona fede in favore del locatore che abbia indebitamente riscosso il canone maggiore.
Fonte:www.altalex.com


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 26 gennaio 2009, n. 1861
(Pres. Vittoria - est. Lanzillo)

Motivi
1. - Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi (art. 335 cod. proc. civ.).
2. - Il collegio, all'esito dell'esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti esposti nella relazione, che le ragioni esposte nella memoria dal ricorrente principale non valgono ad infirmare.
L'inammissibilità non viene dichiarata sulla base di una o di altra possibile interpretazione dei quesiti, come dedotto dal ricorrente, ma a causa dell'inidoneità delle proposizioni formulate come quesiti ad esprimere il problema giuridico e pratico al quale la Corte deve dare soluzione.
Ove anche si rispondesse in senso affermativo a tutti i quesiti proposti dal ricorrente principale, non sarebbe possibile trarre dalla decisione i principi ai quali il giudice di rinvio si dovrebbe uniformare, nella decisione del caso, non risultando in alcun modo quali siano “gli elementi mancanti”, “i fatti controversi ed essenziali da accertare per raggiungere la decisione...”, “gli elementi indispensabili per procedere alla quantificazione della pretesa...”, ecc., che dimostrerebbero l'inammissibilità della domanda riconvenzionale e che la sentenza impugnata avrebbe disatteso.
Si ricorda che l'art. 366 bis cod. proc. civ. impone al ricorrente di indicare nel quesito l'errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (cfr, fra le altre, Cass. civ. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759; Cass. civ. S.U. 14 febbraio 2008 n. 3519) e che il quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del motivo, poiché - in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l'indicazione della violazione denunciata - la peculiarità del disposto di cui all'art. 366 bis consiste proprio nell'imporre una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, nella redazione del motivo, diretta alla formazione immediata e diretta del principio di diritto, in vista del migliore esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. civ. Sez. I, 27 luglio 2008 n. 20409).
La sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite n. 5/2007, citata dal ricorrente, non è in termini, riguardando questioni del tutto estranee a quella in esame.
Quanto al ricorso incidentale, va confermato il principio di diritto enunciato nella relazione, principio che non implica alcuna valutazione in fatto - come affermato dal ricorrente in memoria - né può essere disatteso sulla base dei rilievi in fatto contenuti nella memoria, circa la persona che ebbe materialmente a redigere o a sottoscrivere i contratti di locazione e quanto allo scopo ed agli interessi realmente perseguiti dalle parti: questioni tutte che potranno essere sottoposte al giudice di rinvio, ove proponibili a termini di legge.
3. - In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile. Il ricorso incidentale deve essere accolto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinché decida sulle domande proposte uniformandosi al seguente principio di diritto:
Il comportamento delle parti diretto ad eludere l'applicazione di norme imperative di legge, allo scopo di conseguire somme non dovute (nella specie, il pagamento di un canone superiore a quello esigibile ai sensi della legge n. 392 del 1978) vale di per sé a superare la presunzione di buona fede dell'accipiens, agli effetti della restituzione dell'indebito, ove si concretizzi in atti che inequivocabilmente dimostrino la consapevolezza dell'esistenza della norma imperativa ed il deliberato intento di eluderne gli effetti”.
La coeva stipulazione di due contratti di locazione: uno simulato, recante l'indicazione del canone conforme alla legge, ed altro dissimulato, recante l'indicazione del canone realmente richiesto, integra gli estremi di cui sopra ed impedisce di applicare la presunzione di buona fede in favore del locatore che abbia indebitamente riscosso il canone maggiore”.
4. - La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso principale. Accoglie il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.