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Sezione di Barletta

 
   
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TAR Puglia, Sez. III, sentenza 12/11/2008 (dep. 12/01/2009), n. 21
mercoledì 29 aprile 2009 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli



 

 
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA PUGLIA
LECCE
TERZA SEZIONE
 
Registro Dec.: 21/2009
Registro Generale:916/2008
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, nelle persone dei signori Magistrati:
ANTONIO CAVALLARI         Presidente 
TOMMASO CAPITANIO       Primo Referendario, relatore
SILVIA CATTANEO              Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 916/2008, proposto da A.L., rappresentato e difeso dall’avv. Gabriele Stasi, e con lo stesso elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Francesco Baldassarre, in Lecce, Via Imperatore Adriano, 9,
contro
­         COMUNE di FASANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ottavio Carparelli, e con lo stesso elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Angelo Vantaggiato, in Lecce, Via Zanardelli, 7,
­         AUTORITA' di BACINO della PUGLIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto presso la sede della stessa, in Lecce, Via Rubichi, 23,
e nei confronti di
, non costituito,
 
per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,
­         dell’ordinanza n. 21 del 14.4.2008 del Dirigente del Settore Territorio Ambiente del Comune di Fasano;
­         nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale e in particolare della nota dell’Autorità di Bacino della Puglia prot. n. 554 del 17.1.2008, della nota dell’Autorità di Bacino della Puglia prot. n. 4718 del 14.5.2008 e dell’ordinanza n. 1 del 14.1.2008 del Dirigente del Settore Territorio Ambiente del Comune di Fasano.
 
Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Vista la domanda cautelare proposta unitamente al ricorso introduttivo;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Uditi nella pubblica udienza del 12 novembre 2008 il relatore, Primo Ref. Tommaso Capitanio, e, per le parti costituite, gli avv. Francesco Baldassarre (in sostituzione di Stasi) e Giuseppe Misserini (in sostituzione di Carparelli), e l’avv. dello Stato Roberti.
 
FATTO
 
1. Con il presente ricorso, il sig. A.L. impugna il provvedimento con cui il Comune di Fasano ha annullato in autotutela il permesso di costruire n. 215/2006 (rilasciato in favore del sig. M.P. in data 2.8.2006 e successivamente volturato in favore del ricorrente) e ordinato la conseguente demolizione delle opere realizzate in forza del predetto titolo abilitativo. A tanto il Comune si è determinato recependo un conforme parere dell’Autorità di Bacino della Puglia, in cui si afferma che le opere de quibus sorgono in area classificata “alveo fluviale in modellamento attivo ed aree golenali”, ova vige il divieto assoluto di edificazione, ai sensi dell’art. 6 delle NTA del Piano di Assetto Idrogeologico (sul lotto insiste un canale di deflusso delle acque piovane).
L’operato del Comune è censurato dal sig. A.L. per i seguenti motivi:
- il lotto in argomento non ricade in zona classificata a pericolosità idraulica;
- le autorità che sono intervenute nel procedimento (ed in particolare l’A.d.B. Puglia) hanno più volte mutato orientamento circa l’assoggettamento del sito al Piano di Assetto Idrogeologico, il che dimostra la perplessità del parere della stessa A.d.B.;
- né le aree classificate a pericolosità idraulica sono individuabili dalla cartografia 1:25000 (sulla quale si è basata l’A.d.B.);
- lo stato dei luoghi è mutato rispetto alla data di redazione della suddetta cartografia. In particolare, lo stesso Comune di Fasano ha realizzato negli anni passati una strada in rilevato sopra il canale in questione;
- esso ricorrente non è stato messo in grado di far valere in sede procedimentale le proprie ragioni, né di depositare documenti e memorie da cui sarebbe emersa invece la piena legittimità del permesso di costruire n. 215/2006;
- in ogni caso sono stati violati sia i principi in materia di autotutela, soprattutto per quanto riguarda il termine ragionevole entro il quale lo ius poenitendi può essere legittimamente esercitato dalla P.A., sia il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa.
Per il caso di accoglimento dell’azione impugnatoria, il sig. A.L. chiede la condanna del Comune al risarcimento dei danni causati dall’esecuzione del provvedimento impugnato.
2. Si sono costituite solo le Amministrazioni intimate, chiedendo il rigetto del ricorso. In particolare, il Comune di Fasano ha eccepito che:
- analogo ricorso proposto dal dante causa dell’odierno ricorrente è stato ritenuto infondato da questo Tribunale, sia pure nella fase cautelare (vedasi ordinanza della sez. I n. 508/2007);
- l’A.d.B. Puglia ha confermato che sull’area in questione vige il divieto assoluto di realizzare nuove edificazioni;
- il P.A.I. prevale sugli strumenti urbanistici comunali;
- il ricorrente non si è attivato presso l’A.d.B. per ottenere una revisione delle perimetrazioni del P.A.I.;
- il potere di autotutela è stato esercitato nel rispetto dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990;
- l’eventuale violazione dei diritti di partecipazione al procedimento di secondo grado sono irrilevanti, essendo l’atto terminale un provvedimento a contenuto vincolato;
- la domanda risarcitoria è inammissibile per genericità e comunque infondata nel merito, non sussistendo alcuna colpa in capo al Comune.
3. Alla camera di consiglio del 9 luglio 2008 (fissata per la trattazione della domanda cautelare) il ricorrente ha chiesto l’abbinamento al merito, per cui è stata fissata l’udienza pubblica del 12 novembre 2008, all’esito della quale la causa è stata trattenuta per la decisione.
 
DIRITTO
 
1. Il ricorso va respinto per quanto concerne l’azione impugnatoria, mentre l’azione risarcitoria va accolta nei limiti che si andranno a precisare.
2. Iniziando l’esame dalla domanda di annullamento del provvedimento impugnato, il Collegio ritiene opportuno evidenziare sin d’ora che, a differenza di quanto sostenuto dal sig. A.L., l’operato dell’A.d.B. Puglia non è stato connotato da contraddittorietà o perplessità, avendo la citata Amministrazione ritenuto sin dall’inizio del procedimento sfociato nell’annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 215/2006 che il lotto nel quale dovrebbe essere realizzata l’iniziativa edilizia per cui è causa ricade in zona ad alta pericolosità idraulica.
2.1. A tal riguardo, è sufficiente ripercorrere brevemente le varie tappe del procedimento, a partire dalla nota dell’Autorità datata 13.3.2007. In tale documento, l’A.d.B., in risposta ad un primo quesito rivoltole dal Comune di Fasano, aveva semplicemente richiamato la normativa contenuta nelle NTA del P.A.I., per cui sotto questo profilo non può parlarsi di risposta vaga o perplessa. Successivamente, investita della specifica questione inerente la compatibilità con il P.A.I. dell’intervento edilizio di cui al p.d.c. n. 215/2006, l’Autorità ha chiaramente affermato che l’area in argomento è classificata “alveo in modellamento attivo e aree golenali”, per cui su di essa grava il vincolo di inedificabilità di cui all’art. 6 delle NTA. Tale orientamento, infine, non è smentito nemmeno dalla nota del 14.5.2008 - adottata fra l’altro dopo che il Comune di Fasano aveva già annullato in autotutela il permesso di costruire - visto che tale comunicazione, oltre a ribadire quanto già statuito in precedenza, ha semplicemente richiamato le disposizioni di cui all’art. 25 delle NTA, relative alle procedure da seguire per apportare modifiche al Piano (sul punto, vedasi la recente sentenza della Sezione n. 3133/2008). In sostanza, l’A.d.B. ha evidenziato al ricorrente che le prescrizioni del P.A.I. possono essere modificate sia alla luce di studi geologici più approfonditi (condotti sia dalla stessa A.d.B. che da altri enti pubblici o da soggetti privati) sia alla luce dei mutamenti della situazione di fatto (ad esempio, a seguito della realizzazione di opere idrauliche). Ciò però non può andare a discapito dell’A.d.B., la quale, si ripete, non ha mai modificato il primitivo orientamento, avendo sempre ritenuto che l’area in questione costituisce “alveo in modellamento attivo e aree golenali”.
2.2. Al riguardo, il Collegio ritiene che l’operato dell’A.d.B. sia corretto anche nel merito, in quanto il reticolo idrografico è costituito da tutti i corsi d’acqua, i canali, le gore, etc., a prescindere dal fatto che si tratti di corsi d’acqua attualmente esistenti o, invece, che si tratti di corsi d’acqua allo stato attuale prosciugati (salvo, ovviamente, che non si dimostri, a seguito di studi più dettagliati – artt. 24 e 25 delle NTA del P.A.I. – che l’area non sia più da classificare a pericolosità idraulica).
Del resto, è notorio che negli ultimi anni il nostro Paese è stato toccato da alcuni tragici eventi dovuti all’azione combinata di fenomeni metereologici di particolare rilevanza e di edificazioni sconsiderate: il riferimento va ai recenti eventi calamitosi verificatisi nella Regione Sardegna o, risalendo più indietro nel tempo, alla distruzione di un campeggio dislocato sul letto di un torrente in secca (l’evento si è verificato pochi anni fa in Calabria) o alla famosa alluvione che colpì il Piemonte nel 1994. In tutti questi casi, le distruzioni e le vittime sono state dovute soprattutto al fatto che gli edifici interessati dalle piene erano stati costruiti in aree ad alta pericolosità idraulica, ma gli atti abilitativi erano stati rilasciati sul presupposto che i corsi d’acqua insistenti in tali aree erano ormai prosciugati e che, in generale, l’edificazione non avrebbe prodotto alcun effetto sul regime idraulico a monte e a valle delle aree interessate. Purtroppo, però, in presenza di precipitazioni piovose di particolare entità, le acque in piena, laddove non siano veicolate in nuovi ed adeguati canali di deflusso, riprendono naturalmente le originarie vie di deflusso, travolgendo tutto quello che incontrano sul loro passaggio. Il P.A.I., che è lo strumento pensato dal Legislatore per fronteggiare questi problemi, viene elaborato inizialmente partendo dai dati ufficiali a disposizione dell’A.d.B. e muovendo da un’ottica prudenziale; tuttavia, considerato che i dati cartografici possono non essere aggiornati, le NTA stabiliscono l’iter procedurale da seguire per apportare variazioni alla perimetrazione delle aree a pericolosità idraulica alta, media o bassa. Anche in questo caso costituisce fatto notorio la circostanza che, dopo l’adozione della prima versione (novembre 2005), il P.A.I. pugliese è stato continuamente rimaneggiato sia a seguito delle osservazioni formulate da quasi tutti i Comuni della Regione, sia all’esito degli studi condotti dalla stessa A.d.B., la qual cosa del resto è stata ammessa dalla stessa Autorità nella citata nota del 14.5.2008.
Nel caso di specie, non può dubitarsi del fatto che il lotto di proprietà del sig. A.L. è attraversato da un canale di deflusso delle acque piovane, della qual cosa, del resto, il ricorrente era a conoscenza sin dall’inizio, visto che, in occasione del rilascio del permesso di costruire n. 215/2006, il Comune di Fasano e il dante causa del sig. A.L. (sig. Palazzo) avevano stipulato una convenzione, nella quale erano disciplinate specificamente le modalità realizzative degli immobili in argomento alla luce della presenza del canale (sul punto si tornerà infra).
Né è in discussione il fatto che l’intervento edilizio de quo ricade all’interno della fascia dei 75 metri di cui parla l’art. 6 delle NTA, la qual cosa, oltre che dall’ordinanza della Sez. I del TAR n. 508/2007 (adottata nell’ambito del giudizio di cui al ricorso n. 687/2007 R.G., promosso dal sig. Palazzo ed avente oggetto pressochè analogo al presente processo), risulta dal progetto approvato a suo tempo dal Comune con il rilascio del p.d.c. n. 215/2006 (progetto che prevede l’edificazione a ridosso del canale di deflusso delle acque piovane).
In base a quanto precede, l’A.d.B. Puglia va esente anche da responsabilità per quanto concerne la pretesa risarcitoria azionata dal ricorrente.
2.3. A questo punto va esaminato l’operato del Comune di Fasano, il quale risulta legittimo per ciò che concerne l’esercizio del potere di autotutela, mentre è censurabile per ciò che concerne le modalità di esercizio del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il rilascio in favore del sig. Palazzo dell’originario titolo abilitativo (il che rileva ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria).
2.4. Procedendo per ordine, il Collegio ritiene che il Comune di Fasano non abbia correttamente rilasciato il permesso di costruire in favore del dante causa del sig. A.L., avendo sostanzialmente “dimenticato” di acquisire inizialmente il parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo idrogeologico. Solo in un secondo tempo il Comune si è avveduto di tale rilevante omissione ed ha avviato il lungo procedimento sfociato nell’annullamento del permesso di costruire.
In ragione di quanto si è detto nei precedenti punti 2, 2.1. e 2.2., non c’è dubbio che l’annullamento del titolo edilizio appariva atto necessitato, una volta che l’A.d.B. aveva precisato che l’area in questione ricade nell’ambito applicativo dell’art. 6 delle NTA.
Di conseguenza, perdono rilevanza tutte le censure che il sig. A.L. appunta nei confronti di questo segmento dell’attività comunale. Ed infatti:
- per quanto concerne la violazione degli artt. 7 e ss. della L. n. 241/1990, il vizio, laddove sussistente, non può portare all’annullamento del provvedimento impugnato, e ciò in base all’art. 21-octies della stessa legge n. 241. A tal proposito, il Collegio evidenzia come il ricorrente non abbia addotto, né in sede procedimentale, né in sede giudiziaria, alcun dato scientifico dal quale il Tribunale o le Autorità interessate possano desumere che il lotto in questione non ricade in area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta; peraltro, è indubbio che l’edificazione progettata ricade in “alveo in modellamento attivo e aree golenali”, ai sensi dell’art. 6 delle NTA del P.A.I.;
- il Comune, dopo circa tre mesi dalla data di volturazione del titolo edilizio in favore del ricorrente, aveva ordinato la sospensione dei lavori, mentre l’annullamento del p.d.c. è intervenuto dopo ulteriori tre mesi. Pertanto, non può dirsi che l’autotutela non sia stata esercitata in un tempo ragionevole, e ciò anche in relazione al disposto di cui all’art. 39, comma 1, del T.U. n. 380/2001 (il quale, come noto, prevede che il permesso di costruire illegittimo può essere annullato dalla Regione addirittura entro dieci anni dalla data del suo rilascio). Fra l’altro, bisogna evidenziare che il p.d.c. n. 215/2006 era stato annullato una prima volta con ordinanza del 2.4.2007, ossia in un momento in cui il titolo era formalmente ancora intestato al sig. Palazzo, sebbene il sig. A.L. avesse acquistato la proprietà del lotto in data 8.2.2007 e avesse già chiesto la volturazione dell’atto abilitativo. Pertanto, anche se con un provvedimento ancora sub iudice (in quanto impugnato dal sig. Palazzo davanti a questo TAR con ricorso n. 687/2007 – sulla vicenda vedasi il successivo punto 3.7.), il Comune aveva già “interrotto” il decorso del termine ragionevole di cui parla l’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, e di tali circostanze l’odierno ricorrente era sicuramente a conoscenza, visto che il ricorso n. 687/2007 gli era stato notificato.
Per quanto concerne, invece, la comparazione fra i contrapposti interessi, non c’è dubbio che nel caso di specie è da ritenere prevalente l’interesse pubblico alla corretta esplicazione dello ius aedificandi, tenuto anche conto della pericolosità idraulica del sito in cui ricade l’intervento edilizio in questione, nel mentre, come si dirà infra, l’indubbia lesione patrimoniale subita dal ricorrente trova ristoro nel risarcimento per equivalente.
Né infine viene in evidenza il principio di proporzionalità, atteso che la vigente normativa – e non potrebbe essere diversamente – prevede che all’accertamento dell’illegittimità di un titolo edilizio segua, ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, l’annullamento del provvedimento ampliativo e l’ordinanza di demolizione delle opere realizzate in forza di quell’atto, salvo che (ma questo dipende dall’iniziativa dell’interessato) non sia possibile presentare una variante progettuale che elimini i vizi del permesso di costruire o, come nel caso di specie, non sia dimostrabile, mediante studi geologici, che il vincolo di inedificabilità non ha ragion d’essere.
2.5. In conclusione, quindi, l’azione impugnatoria va respinta, avendo il Comune di Fasano fatto un corretto uso dello ius poenitendi.
3. Ad analoghe conclusioni non si può invece pervenire per quanto riguarda l’azione risarcitoria.
3.1. A tal proposito, è necessaria una premessa, sia al fine di dare conto della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla prefata domanda, sia per chiarire la natura della responsabilità che nel caso di specie il Collegio ritiene di dover ascrivere al Comune di Fasano.
Come è noto, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80/1998 e successivamente della L. n. 205/2000 (senza dimenticare il fondamentale “intermezzo” rappresentato dalla sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite), al giudice amministrativo è stato attribuito il potere di pronunciarsi, nell’ambito della “sua” giurisdizione, sulle domande di risarcimento dei danni asseritamente cagionati dalla P.A. in esecuzione di provvedimenti illegittimi o (ed è il caso delle controversie relative a materie attribuite alla giurisdizione esclusiva) per inadempimento di obbligazioni (ad esempio, per inadempimento di un accordo concluso ai sensi dell’art. 11 L. n. 241/1990 o per omessa predisposizione di misure di tutela in favore dei dipendenti – art. 2087 c.c.) o per violazione del principio del neaminem laedere.
Tralasciando in questa sede tutte le questioni di ordine più generale che agitano ancora oggi la materia, è altrettanto noto che la responsabilità della P.A. è stata affermata nel corso del tempo in una serie variegata di situazioni:
- danni cagionati in esecuzione di provvedimenti illegittimi annullati dal G.A. (vedasi ad esempio la sentenza di questo TAR n. 429/2005);
- danno da ritardo (vedasi la sentenza di questo TAR n. 7067/2004);
- danno cagionato da un “comportamento” della P.A. che trova comunque fondamento in un provvedimento, sia pure illegittimo (vedasi le sentenze della Corte Costituzionale n. 204/2004, n. 281/2004 e n. 191/2006, e le decisioni dell’Adunanza Plenaria n. 9/2005 e n. 2/2006).
3.2. Fino a qualche anno fa, la giurisprudenza amministrativa (per quanto concerne le acquisizioni a cui era pervenuta l’A.G.O., cfr. la decisione della Sez. V del Consiglio di Stato n. 7194/2006) era quasi universalmente ferma nel ritenere che la responsabilità della P.A. per scorretto esercizio della funzione amministrativa può essere affermata solo in caso di danno da ritardo oppure quando si è in presenza di un atto illegittimo previamente annullato dallo stesso giudice amministrativo, del che costituiscono sintomatica riprova le affermazioni contenute nella decisione della Sez. V del Consiglio di Stato n. 6389/2002, recante l’annullamento della sentenza del TAR Pescara n. 609/2001 (nella predetta decisione il Consiglio di Stato ha statuito che “…L’eventuale illiceità della condotta della p.a., idonea a determinare il diritto al risarcimento del danno a favore del privato, presuppone dunque il preventivo accertamento da parte del giudice amministrativo dell'illegittimo esercizio della funzione amministrativa che può sostanziarsi sia nella emanazione di un atto contra legem, sia nella mancata, ingiustificata adozione di un provvedimento conforme alle aspettative giuridicamente tutelate del privato destinatario e non già della considerazione di tali “comportamenti” alla stregua dei principi di buona fede e correttezza. Nel primo caso il provvedimento può ledere tanto un interesse sostanziale di tipo pretensivo, che di tipo oppositivo, mentre nel secondo caso la lesione della sfera giuridica del privato ha necessariamente ad oggetto un interesse sostanziale di tipo oppositivo. L’illiceità si verifica per ciò quando la situazione del privato, connessa e incisa dall'illegittimo esercizio della funzione, sia compromessa in relazione alla mancata trasformazione nella situazione finale, consistente nell'effettivo esercizio di facoltà insiste nel diritto o nello svolgimento di una determinata attività. Tutte le volte che questa vicenda non si realizza per causa (nesso eziologico) dell'illegittimo esercizio del potere, qualificato dall'elemento psichico (dolo o colpa), si pone il problema della risarcibilità dell'interesse legittimo, che, come è evidente, è formula brachilogica, nella quale è eliso proprio l'oggetto principale della refusione: la situazione soggettiva finale intrinseca all'interesse legittimo. L’interesse legittimo rappresenta per ciò in questi casi la misura della rilevanza che ha il diritto soggettivo, allorché talune delle facoltà che concorrono a determinarne il contenuto non possono essere esercitate se non con le modalità indicate nel provvedimento amministrativo assunto in conformità alla disciplina positiva, come paradigmaticamente risulta per il diritto di proprietà in relazione alla facoltà di edificare o per il diritto di iniziativa economica in relazione all’attività commerciale...”). In entrambi i casi, infatti, si è in presenza di uno scorretto esercizio del potere (nel caso del danno da ritardo l’illegittimità è rappresentata dalla violazione del termine per la conclusione del procedimento, spesso sancita dal giudice amministrativo con la sentenza di accoglimento del ricorso ex art. 21-bis della L. n. 1034/1971 – vedasi anche su questo punto la citata sentenza del TAR n. 7067/2004). Allorquando il provvedimento è legittimo, invece, sembrava fuori luogo parlare di responsabilità, l’ordinamento prevedendo invece, ma solo in casi espressamente disciplinati, una forma di ristoro diverso (l’indennizzo).
Peraltro, in alcune decisioni innovative (oltre a quella del TAR Pescara dianzi menzionata, si possono citare la decisione del Cons. Stato, Sez. IV, n. 1457/2003, e le sentenze del TAR Palermo, II, n. 1050/2003, del TAR Napoli, I, n. 11259/2003, del TAR Milano, III, n. 5130/2000, del TAR Salerno, I, nn. 97/2004 e 163/2004, del TAR Basilicata n. 326/2004, del TAR Piemonte, II, n. 1762/2003, nonché la già richiamata decisione della Sez. V del Consiglio di Stato n. 7194/2006), il giudice amministrativo ha iniziato ad affermare la responsabilità della P.A. anche in presenza di atti legittimi, applicando l’istituto di cui all’art. 1337 c.c.; si tratta per lo più di controversie risarcitorie scaturenti dall’impugnazione di provvedimenti recanti l’annullamento d’ufficio di bandi di gara o il diniego di approvazione, per ragioni di pubblico interesse, di contratti d’appalto, nelle quali il giudice amministrativo, pur dopo aver respinto l’azione impugnatoria, ha ritenuto l’amministrazione convenuta responsabile per violazione dei doveri di protezione di cui alla citata norma civilistica e    ha applicato quindi i principi della c.d. culpa in contrahendo. In particolare, nella decisione n. 1457/2003, la Sez. IV ha affermato – per la verità con una motivazione non molto diffusa in relazione alla rilevanza della questione – la responsabilità di un Ministero che, pur avendo conoscenza da tempo della carenza dei fondi necessari per la realizzazione di un’opera pubblica, non aveva comunicato per tempo tale circostanza alla società incaricata di svolgere le funzioni di stazione appaltante, facendo presente la situazione solo in sede di adozione del provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione provvisoria (atto che il giudice d’appello ha ritenuto in sé del tutto legittimo), con ciò ledendo il legittimo affidamento dell’impresa che si era aggiudicata l’appalto.
Le acquisizioni di tale evoluto orientamento giurisprudenziale (che va sicuramente apprezzato nello spirito di un auspicabile accrescimento delle forme di tutela degli interessi dei privati che vengono in qualche modo a contatto con il potere pubblico), non è però utile nel caso di specie, atteso che la responsabilità precontrattuale presuppone appunto che ci si trovi nella fase delle trattative che precedono la conclusione di un contratto (a cui viene analogicamente equiparato il procedimento di svolgimento delle gare ad evidenza pubblica).
3.3. Tuttavia, la ricomprensione della presente domanda risarcitoria nell’alveo della giurisdizione amministrativa può avvenire ugualmente muovendo da una ricostruzione della posizione giuridica di cui è stata chiesta tutela. Come è universalmente noto (anche se non in maniera incontrastata in dottrina), l’interesse legittimo è la posizione giuridica soggettiva di cui è titolare il soggetto che è coinvolto a qualsiasi titolo in un procedimento amministrativo, il quale, proprio per essere titolare di tale posizione giuridica, dispone di una serie di facoltà esercitabili prima, durante e dopo il procedimento (l’interesse legittimo, ovviamente, a seconda dei casi si presenta collegato ad un’altra posizione giuridica soggettiva sottostante, di solito il diritto soggettivo, la quale non è però tutelabile di per sé, ma solo in via mediata). Ma se così è, ne consegue che tutto quello che accade nel corso del procedimento e che riguarda le modalità con cui la P.A. esercita il potere di cui è attributaria (a prescindere, cioè, dagli effetti che si producono sulla posizione giuridica sottostante) incide comunque sempre e solo sull’interesse legittimo, del che si ha una conferma solare proprio nel caso dell’esercizio dell’autotutela decisoria: infatti, se anche il provvedimento oggetto di riesame aveva consentito al destinatario di esercitare liberamente un diritto soggettivo perfetto (si pensi allo ius aedificandi o al diritto di iniziativa economica), nel momento in cui la P.A. sottopone a verifica postuma la legittimità dell’atto ampliativo, il privato può contrastare l’eventuale annullamento d’ufficio del provvedimento solo con lo strumentario delle facoltà insite nell’interesse legittimo; ed infatti, a riprova di ciò, basta osservare che anche la valutazione dell’incidenza del legittimo affidamento del destinatario dell’atto muove da presupposti diversi rispetto a ciò che accade nei rapporti interprivati, in cui l’affidamento del contraente fedele non va comparato con un interesse superiore, laddove in sede di autotutela ex art. 21-nonies della L. n. 241/1990 la P.A. deve invece comparare l’affidamento del destinatario del provvedimento sottoposto a riesame con l’interesse pubblico.
Pertanto, la domanda con cui viene chiesto il ristoro dei danni che la P.A. ha cagionato al soggetto coinvolto nel procedimento agendo in violazione di una qualsiasi norma o principio che regola quel procedimento si deve intendere finalizzata alla tutela della posizione giuridica incisa, ossia, per quanto detto supra, dell’interesse legittimo.
Se la posizione giuridica di un privato a fronte di un procedimento amministrativo che lo interessa ha la consistenza di interesse legittimo, il giudice che deve conoscere della lesione di questa situazione giuridica è quello amministrativo, in base all’art. 103 Cost.
Se la lesione dell’interesse legittimo causa danni (patrimoniali e non), il risarcimento dei danni costituisce una forma di tutela dell’interesse legittimo e della relativa domanda conosce il giudice amministrativo, in base all’art. 7 della L. n. 205/2000. La limitazione delle controversie conosciute dal giudice amministrativo alla impugnazione di atti o provvedimenti (in base all’art. 3 della L. n. 1034/1971 e all’art. 26 del R.D. n. 1054/1924) o alla contestazione di comportamenti in specifici casi (ad esempio, nella fattispecie di cui all’art. 53 del DPR n. 327/2001) ha ragion d’essere quando la lesione sia cagionata da un atto o da un provvedimento o da uno specifico comportamento che non abbia attinto la consistenza di atto o provvedimento.
La situazione è ben diversa quando, invece, la lesione dell’interesse legittimo è stata causata non da uno specifico atto, ma dal combinarsi di più atti (ad esempio, da un atto che abbia ampliato la sfera giuridica del destinatario e da un successivo atto che abbia posto nel nulla il precedente, come è accaduto nella specie). In tal caso, la lesione dell’interesse legittimo non è causata dal primo atto (che, anzi, è ampliativo, ossia favorevole per il destinatario), né dal secondo (che, essendo legittimo, non è idoneo ad arrecare un danno ingiusto), ma dal complessivo comportamento della P.A. agente.
Se il privato è titolare di un interesse (legittimo) ad un comportamento coerente dell’amministrazione, la lesione di tale interesse non può non essere sindacata dal giudice (amministrativo) e non può non essere risarcita.
3.4. Per quanto riguarda il titolo della responsabilità, il Tribunale ritiene di dover ascrivere la presente fattispecie al genus della responsabilità aquiliana, e ciò proprio in ragione della specificità della culpa in contrahendo, la quale riguarda solo le ipotesi in cui fra le parti sono in essere trattative finalizzate alla stipula di un contratto.
In casi come quello in esame la responsabilità, come detto, deriva invece dalla violazione (che non produce però l’illegittimità dell’atto finale) di regole scritte e non scritte che disciplinano il corretto svolgimento del procedimento, fra le quali viene in evidenza, ai fini della decisione sulla presente controversia, quella per cui nei procedimenti ad istanza di parte il privato ha diritto a sapere in tempi ragionevoli e in termini per quanto possibile non dubitativi se la sua istanza è meritevole o meno di accoglimento; questa regola è espressione del più generale principio di coerenza dell’azione amministrativa, al quale fa da contraltare il legittimo interesse del cittadino a che l’attività della P.A. si sviluppi in maniera lineare e logica, senza tentennamenti (che non siano giustificati da circostanze obiettive, quali ad esempio l’oscurità della normativa applicabile al caso in esame). Tali principi sono desumibili dal sistema, ed in particolare dai principi informatori della L. n. 241/1990 (artt. 1 e 10-bis, il quale ultimo, come è noto, è stato introdotto dalla L. n. 15/2005 proprio per consentire al privato un’ulteriore interlocuzione con la P.A., prima che quest’ultima adotti l’atto di diniego. La disposizione, quindi, impone alla P.A. di palesare tutte le ragioni ostative al rilascio di un provvedimento, e ciò all’evidente scopo di responsabilizzare l’Amministrazione e di evitare l’adozione di atti di diniego “a sorpresa”), nonché da leggi di settore.
Per quanto concerne, in particolare, la materia dell’edilizia, seppure è vero che il Comune conserva il potere di annullare d’ufficio un permesso di costruire illegittimo, è altrettanto vero che il soggetto a cui è stato rilasciato il titolo abilitativo sostiene determinati investimenti fidando sulla legittimità del titolo edilizio. Salvo i casi in cui questo affidamento è “illegittimo” (ossia quando il titolare del p.d.c. era a conoscenza dell’illegittimità del titolo edilizio, il che accade ad esempio quando il permesso viene rilasciato sulla base di un’infedele rappresentazione dello stato dei luoghi), in tutti gli altri casi il danno che il privato subisce a seguito dell’annullamento di un p.d.c. che sia stato rilasciato senza una accurata verifica circa l’esistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge e dagli strumenti urbanistici va risarcito (sempre che sussista la colpa della P.A., come si dirà infra).
3.5. Sotto questo angolo visuale, l’operato del Comune di Fasano deve a ragione essere ritenuto contrario agli obblighi di diligenza che l’ordinamento pone a carico anche della P.A., e che, nel caso di specie, si traduce nel dovere di istruire le pratiche edilizie nei tempi fissati dalla legge e di rilasciare i relativi atti abilitativi solo in presenza di tutti i presupposti stabiliti dalla vigente normativa statale, regionale o comunale. Laddove:
(a) un titolo edilizio venga rilasciato illegittimamente,
(b) il Comune conosceva o avrebbe dovuto conoscere, facendo uso della diligenza che si può pretendere da un soggetto esperto del settore, le cause di illegittimità e
(c) il destinatario, confidando sulla regolarità del titolo, abbia sostenuto investimenti e spese inerenti l’attività edificatoria,
sorge l’obbligazione risarcitoria in capo allo stesso Comune laddove successivamente il permesso di costruire venga annullato in autotutela.
3.6. Naturalmente, l’obbligazione risarcitoria non sorge automaticamente ogniqualvolta l’Amministrazione si avvalga del potere di autotutela, dipendendo ciò dal complessivo operato dell’ente pubblico, il quale deve rivelarsi quantomeno colposo ai sensi dell’art. 2043 c.c., nonché dalla sussistenza del nesso di causalità e dall’incidenza dell’eventuale concorso di colpa del creditore (art. 1227 c.c.).
3.7. Partendo dall’elemento soggettivo, il Tribunale, come anticipato, ritiene che il Comune di Fasano abbia commesso un errore inescusabile rilasciando al dante causa del sig. A.L. un permesso di costruire illegittimo, che il civico ente ha poi annullato.
Tale convinzione poggia sui seguenti elementi:
- in primo luogo, è assolutamente rilevante il contenuto della convenzione annessa al p.d.c., in cui, come detto, il sig. Palazzo e il Comune avevano espressamente tenuto conto dell’esistenza del canale di deflusso, tanto che il dante causa del ricorrente aveva progettato l’intervento edilizio proprio alla luce dell’esistenza del canale stesso. E’ evidente che l’avente causa del sig. Palazzo ha acquistato la proprietà del lotto e quindi il titolo edilizio confidando in buona fede, almeno inizialmente (come si dirà infra), sulla eseguibilità dell’opera;
- in secondo luogo, va ricordato, come detto in precedenza, che il Comune, in data 2.4.2007, aveva annullato una prima volta il p.d.c. n. 215/2006 (all’epoca ancora formalmente intestato al sig. Palazzo), adottando un provvedimento che era stato impugnato davanti a questo Tribunale. A seguito della proposizione dell’appello avverso l’ordinanza di rigetto della domanda cautelare, il Consiglio di Stato aveva sospeso la decisione del TAR, ordinando la ripetizione del procedimento in contraddittorio con la parte privata. In data 23.10.2007 veniva redatto un verbale di sopralluogo, in cui il dirigente dell’U.T.C. di Fasano si impegnava a revocare il provedimento di autotutela del 2.4.2007 (il che effettivamente veniva disposto con ordinanza n. 57 del 24.10.2007) ed attestava che il sito non ricadeva in aree ad alta pericolosità idraulica. A questo punto, dopo avere finalmente ottenuto la volturazione del titolo edilizio e non ritenendo sussistente alcun impedimento legale, in data 3.12.2007 il ricorrente riprendeva i lavori, dandone comunicazione al Comune. L’esecuzione dei lavori veniva poi sospesa solo con ordinanza del 14.1.2008, a cui faceva seguito la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento del p.d.c. n. 215/2006;
- in terzo luogo, il Comune, mutando più volte opinione circa l’applicabilità o meno dell’art. 6 delle NTA (vedasi nota datata 30.4.2007 e verbale del 23.10.2007), ha ulteriormente indotto in errore il sig. A.L..
Non appare quindi discutibile la violazione da parte del civico ente del principio del neminem laedere, ed in particolare del dovere di diligenza che incombe sulla P.A. Né può dirsi che la complessità del procedimento può giustificare l’operato del Comune, atteso che l’Amministrazione dispone di un Ufficio Tecnico composto da dirigenti e funzionari che hanno il dovere di conoscere la normativa edilizia applicabile al caso di specie, senza dimenticare il fatto che, in caso di dubbio, esiste sempre la possibilità di avvalersi del parere di altre Amministrazioni (in primis, la Regione o l’A.d.B.).
Peraltro, non si trattava nemmeno di una pratica edilizia di particolare complessità tecnica, atteso che si trattava di verificare la sussistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta di natura idrogeologica, che era pacifica la presenza all’interno del sito del canale di deflusso delle acque piovane e che l’intervento ricadeva all’interno della fascia di rispetto dei 75 metri di cui all’art. 6 delle NTA del P.A.I. Probabilmente l’Amministrazione è stata condizionata dal fatto che, nella zona, erano stati rilasciati altri titoli edilizi, ma ciò non può andare a scusante del Comune, visto che la P.A. non deve perseverare negli errori eventualmente commessi in passato.
In ogni caso, quello che rileva è il “peccato originale”, ossia l’aver rilasciato il permesso di costruire senza verificare la compatibilità del progetto con il P.A.I.
Peraltro, come già anticipato, il Collegio ritiene che il ricorrente abbia in parte concorso, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, alla produzione dei danni di cui chiede il ristoro. In effetti, occorre considerare che il sig. A.L., in quanto titolare di un’impresa di costruzioni, non è equiparabile al quisque de populo rispetto al procedimento per cui è causa, dovendosi presumere che egli è (o dovrebbe essere) a conoscenza, in generale, della normativa urbanistica ed edilizia vigente nel Comune di Fasano e nella Regione Puglia. Per di più, come ricordato in precedenza, il Comune aveva annullato una prima volta il p.d.c. n. 215/2006 in data 2.4.2007 e di tale accadimento il sig. A.L. è stato reso edotto se non altro dalla data in cui il sig. Palazzo gli ha notificato “per conoscenza” il ricorso n. 687/2007; a seguito della reiezione della domanda cautelare proposta dal sig. Palazzo, poi, il ricorrente doveva aver maturato la convinzione circa l’illegittimità del citato permesso di costruire, e ciò almeno fino alla data della camera di consiglio in cui il Consiglio di Stato ha riformato l’ordinanza del TAR.
Pertanto, la misura del risarcimento dovrà essere ridotta del 50%, in tale percentuale dovendo essere stimato il concorso di colpa del ricorrente.
3.8. Per quanto riguarda l’esistenza del danno e la sussistenza del nesso di causalità, non c’è dubbio che il ricorrente ha sostenuto determinate spese ed investimenti (della cui esistenza ha fornito sufficienti elementi di prova) solo in ragione del fatto che l’iniziativa edilizia in questione era stata assentita ab origine dal Comune.
Pertanto, fermo restando quanto detto al punto precedente circa l’applicabilità dell’art. 1227 c.c., anche il nesso di causalità sussiste.
3.9. Si deve ora passare alla quantificazione del risarcimento, operazione per la quale, lo si precisa sin d’ora, il Collegio si avvale dello strumento di cui all’art. 35, comma 2, del D.Lgs. n. 80/1998 (per cui saranno fissati solo i criteri ai quali il Comune dovrà attenersi in sede di formulazione della proposta di risarcimento nei confronti del sig. A.L.).
Come si è detto in precedenza, la prima questione da chiarire è che, nel caso di specie, la responsabilità del Comune non deriva dal fatto di aver adottato un atto illegittimo, dalla cui esecuzione è derivato un danno al privato, bensì dal comportamento complessivamente tenuto dall’ente; si tratta, quindi, di una vicenda paragonabile al c.d. danno da ritardo, in cui la lesione dell’interesse patrimoniale del destinatario del provvedimento è causata solo dall’eccessivo tempo impiegato dall’amministrazione per rilasciare l’atto favorevole, il quale però è in sé legittimo.
3.10. Ma se così è, ne consegue che la misura del risarcimento a cui il sig. A.L. ha diritto non può comprendere tutte le poste di cui alla perizia di parte allegata al ricorso.
In tale atto, il perito ha calcolato l’importo complessivo del risarcimento in € 1.885.778,97, suddivisi come segue:
a) mancato utile dell’imprenditore (€ 1.293.905,00);
b) mancato utile del costruttore (€ 285.915,00);
c) danno emergente relativo alle opere già realizzate (€ 134.645,82);
d) spese generali improduttive (€ 13.464,58);
e) organizzazione del cantiere (€ 17.503,96);
f) spese per mantenimento e apprestamento macchinari e attrezzature (€ 13.464,58);
g) incremento spese generali per maggiore durata dei lavori (€ 28.591,50);
h) perdita di chances e ritardi nell’esecuzione di altre commesse (€ 28.591,50);
i) costi di guardiania e custodia cantiere (€ 15.000,00);
l) mancato ammortamento attrezzature e mezzi (€ 14.295,75);
m) studio tecnico preliminare (€ 35.000,00);
n) costi polizza assicurativa e polizza fideiussoria (€ 5.401,28).
A ciò si aggiungono poi i danni non patrimoniali, ed in particolare il danno all’immagine, il danno morale e il danno esistenziale, che non vengono quantificati nel loro ammontare presunto.
Orbene, i calcoli del perito di parte, almeno nell’an, potrebbero essere di massima esatti per ciò che concerne i danni patrimoniali (diverso è il discorso da farsi per i danni non patrimoniali) laddove il Tribunale avesse accolto anche l’azione impugnatoria, ma in ipotesi l’iniziativa edilizia per cui è causa non risultasse più oggettivamente realizzabile (al contrario, se dopo la conclusione del processo l’intervento risultasse ancora realizzabile, il ricorrente avrebbe diritto probabilmente solo al risarcimento dei maggiori costi di costruzione dovuti all’aumento dei prezzi dei fattori produttivi o, laddove ne fornisca la prova, alla perdita di chances).
3.11. Ma poiché l’azione impugnatoria è stata rigettata, si è in presenza di una fattispecie di responsabilità derivante dalla combinata efficacia di un atto illegittimamente ampliativo della sfera giuridica del ricorrente e di un atto legittimamente limitativo di questa stessa sfera, il che implica che il risarcimento deve comprendere solo il danno emergente e non anche il lucro cessante, e ciò per la semplice ragione che il ricorrente non aveva diritto a conseguire un utile da un’attività illecita (fondata cioè su un titolo edilizio illegittimo). In sostanza, nel caso di specie è proprio il combinato disposto fra l’art. 1223 c.c. (il quale, come è noto, stabilisce che “Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”) e l’art. 2056 c.c. (che rimanda all’art. 1223) a suffragare tale conclusione, e ciò in quanto il danno relativo ad un guadagno futuro al quale l’interessato non aveva diritto esclude che tale danno sia la conseguenza diretta dell’illecito.
Naturalmente, poiché si è fuori dall’ambito applicativo dell’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990, il ricorrente ha diritto ad un vero e proprio risarcimento e non ad un indennizzo.
3.12. Ciò premesso, il Tribunale ritiene che il sig. A.L. debba essere risarcito delle seguenti tipologia di danni (per la cui quantificazione egli dovrà fornire al Comune la documentazione probatoria):
- spese relative alla fase di progettazione e di direzione lavori (ovviamente, per la progettazione va calcolata la spesa relativa al progetto nella sua interezza, mentre per la direzione lavori vanno computate sia le spese relative alla programmazione delle fasi di lavoro, sia quelle riferite all’esecuzione dei lavori effettivamente realizzati fino al momento della sospensione);
- spese per l’aquisto dei materiali da costruzione, per l’eventuale nolo dei macchinari, etc.;
- spese per l’allestimento e la sorveglianza del cantiere, e danni derivanti dal fermo dei macchinari o dal deperimento dei materiali a causa della sospensione obbligata delle attività;
- valore delle opere già realizzate, ivi incluse le spese accessorie (tracciamento del cantiere, perizie, spese generali, etc.);
- spese sostenute per le polizze assicurative e fideiussorie.
L’importo così determinato andrà poi ridotto del 50%, come detto al punto 3.7.
3.13. Non competono invece le altri voci di danno, alcune perché relative al lucro cessante, altre perché non provate nemmeno nell’an. Il riferimento è ai danni non patrimoniali, per i quali non è stata provata né l’esistenza né il nesso di causalità; fra l’altro, nel caso di specie non risulta che la vicenda abbia provocato particolare discredito alla credibilità del ricorrente. In effetti, anche se il sig. A.L. ha dovuto venire meno agli accordi intercorsi con gli eventuali promissari acquirenti degli appartamenti o dei locali commerciali, ciò è dipeso da un factum principis (ossia dall’annullamento del permesso di costruire) e non da eventi imputabili al ricorrente, del che l’interessato ha avuto la possibilità di rendere edotti i potenziali acquirenti. Ma del resto, è noto che gli atti abilitativi edilizi vengono sempre rilasciati “fatti salvi i diritti dei terzi”, mentre la loro persistente efficacia è, almeno per un certo tempo, legata al mancato esercizio del potere di autotutela da parte dell’autorità che lo rilascia. Né il ricorrente ha provato che l’impossibilità di portare a termine l’iniziativa edilizia de qua rischia di portare l’impresa al fallimento.
Assolutamente indimostrata è infine l’esistenza di un danno esistenziale, atteso che non si comprende in che modo l’annullamento di un titolo edilizio, per quanto rilevante nella vita di un’impresa edile, possa precludere al titolare di quell’impresa addirittura lo svolgimento delle attività realizzatrici della personalità. In effetti, fino a prova contraria, il sig. A.L. non ha commesso alcun illecito penale, né è stato destinatario di accuse di tal genere, per cui non appare verosimile che egli, a causa della presente vicenda, sia stato “escluso” dalla comunità fasanese.
3.14. Per quanto precede, il Comune di Fasano, entro novanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, dovrà formulare al sig. A.L., ai sensi dell’art. 35, comma 2, del D.Lgs. n. 80/1998, una proposta di risarcimento che tenga conto dei criteri di cui ai precedenti punti (ed in particolare il punto 3.12.).
4. In conclusione, l’azione impugnatoria va respinta, mentre l’azione risarcitoria va accolta nei limiti di cui sopra.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce:
­         respinge l’azione impugnatoria;
­         accoglie in parte l’azione risarcitoria e, per l’effetto, condanna il Comune di Fasano al risarcimento in favore del ricorrente dei danni, da quantificarsi in base ai criteri di cui in motivazione.
Liquida le spese di giudizio in complessivi € 3.000,00 (tremila/00), che compensa per un terzo, mentre i restanti due terzi dovranno essere rimborsati dal Comune di Fasano in favore del ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, il 12 novembre 2008.
Dott. Antonio Cavallari   - Presidente
 
Dott. Tommaso Capitanio - Estensore
 
Pubblicato mediante deposito in Segreteria il 12.01.2009