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Cass. Pen., Sez. IV, sentenza 8/02/2008 n. 6267
lunedì 21 aprile 2008 - Pubblicazione a cura di

Risponde di omicidio colposo il titolare della ditta appaltatrice delle opere di manutenzione del manto stradale, se, nel tratto di competenza, la presenza di buche ha determinato un incidente mortale, in quanto tale soggetto non ha adempito agli obblighi connessi alla sua posizione di garanzia.
Fonte: www.altalex.com


 
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
 
SEZIONE IV PENALE
 
Sentenza 15 novembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6267
 
(Presidente Brusco – Relatore Piccialli)
 
 
Fatto e diritto
 
 
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma confermava la sentenza in primo grado emessa in data 5 novembre 2001 dal Tribunale della stessa città, con la quale, per quanto qui rileva, M. I. era stato ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo in danno di S. E., mentre era stato assolto con la formula per non aver commesso il fatto il capo squadra dell'Acea.
 
Il grave sinistro stradale aveva coinvolto E. S. nella notte del 20 aprile 1996, quando, percorrendo il tratto di via Salaria corrispondente all'ingresso di Villa Ada, alla guida di un ciclomotore, a causa della presenza di tre "buche" corrispondenti a chiusini non livellati, aveva perso il controllo del veicolo ed era caduta all'indietro, battendo la testa contro il piano stradale.
 
L'odierno ricorrente era stato chiamato a risponderne in qualità di titolare della ditta omonima, società appaltatrice delle opere di manutenzione del manto stradale per la zona comprendente il tratto di via Salaria interessato dal sinistro.
 
A carico del M. erano stati ravvisati profili di colpa generica, sub specie dell'imprudenza, imperizia e negligenza, in particolare perché, in violazione dell'obbligo di garanzia assunto nella qualità sopra indicata, ometteva di approntare adeguata sorveglianza ed idonea segnalazione di emergenza laddove si erano prodotte nella zona in questione una serie di cedimenti del tratto stradale, tali da determinare vere e proprie buche di profondità pari a 5-7 centimetri, così cagionando la morte della S. che, proprio a causa di tali buche profonde ed insidiose, perdeva il controllo del mezzo, e rovinava a terra, riportando lesioni gravissime a causa delle quali decedeva poco dopo il sinistro.
 
La Corte di merito, a seguito delta rinnovazione della istruttoria dibattimentale attraverso l'effettuazione di perizia tecnica, confermava la penale responsabilità dell'imputato per il reato di omicidio colposo, evidenziando come sussistenti i profili di colpa contestati, in relazione alla violazione dell'obbligo gravante sul medesimo, nella qualità di titolare della impresa appaltatrice, ai sensi dell'art. 18 del capitolato di appalto, secondo il quale, con la consegna dell'appalto l'impresa era obbligata ad iniziare immediatamente il servizio di sorveglianza ed il conseguente pronto intervento sulla sede stradale.
 
I giudici di appello evidenziavano altresì che all'epoca dell'incidente il cantiere, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non era più sotto la sorveglianza dell'Acea, che in precedenza aveva effettuato alcuni lavori, ed alla quale rimaneva affidato solo il cantiere relativo alla posa di un cavo, limitato ad un rettangolo intorno ad uno dei tombini, mentre restavano fuori del controllo dell'Acea i due avallamenti esistenti sul primo e sul terzo tombino, che produssero la perdita di equilibrio del ciclomotore.
 
Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione M. I., tramite difensore, articolando due motivi.
 
Con il primo, censura l'affermazione di responsabilità, prospettando la violazione di legge ed il difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della posizione di garanzia del M., sul rilievo che la Corte di merito avrebbe erroneamente fatte proprie le apodittiche osservazioni del perito d'ufficio, senza considerare la particolare esimente prevista dall'art. 22 del Capitolato, secondo il quale l'impresa appaltatrice era sollevata da ogni responsabilità conseguente i lavori eseguiti a cura dell'Azienda comunale a partire dal momento di inizio di installazione del cantiere per l'apertura del cavo, fino alla riconsegna all'Amministrazione della relativa pavimentazione, riservandosi il Comune di far eseguire la sorveglianza di tali lavori ad altra impresa.
 
Richiamando tale norma il difensore sostiene l'assenza di responsabilità del M., avendo i giudici di merito pretermesso di considerare che all'epoca del sinistro l'Acea aveva intrapreso una operazione di apertura cavi e che, pertanto gli obblighi di sorveglianza e controllo dell'area sarebbero tornati a gravare sull'impresa appaltatrice solo dopo tale riconsegna.
 
Si sostiene, inoltre, che le conclusioni del perito d'ufficio, secondo le quali il sinistro era stato determinato dalla prima buca, erano state contraddette dalle dichiarazioni di un teste secondo il quale, tutte le buche, ma in particolare la seconda, di competenza dell'Acea, avevano contribuito al verificarsi del sinistro.
 
Con il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione di legge e difetto di motivazione, laddove il giudicante avrebbe omesso di effettuare qualsiasi analisi dell'asserita condotta colposa della vittima, che per ammissione dello stesso perito, procedeva ad una velocità massima per il ciclomotore (40-45 Km H), concentrandosi esclusivamente sulla disconnessione del manto stradale.
 
Il ricorso è manifestamente infondato, trattandosi, peraltro, prevalentemente di mera reiterazione dei motivi di appello, in ordine ai quali la Corte territoriale ha correttamente motivato le ragioni per le quali non meritavano accoglimento.
 
Manifestamente infondato sotto tutti i profili prospettati è il primo motivo, con il quale si contesta nel mento il giudizio di responsabilità.
 
La pronunzia è immune dai vizi dedotti dal difensore ed è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obblighi connessi alla posizione di garanzia e di causalità della condotta.
 
La Corte di merito, infatti, attraverso la disamina degli atti di causa ed il richiamo per relationem alla sentenza di primo grado, ha ampiamente argomentato sulla titolarità della posizione di garanzia in capo al M. e sulla spiegazione causale del sinistro, corrispondendo del resto puntualmente alle doglianze proposte con l'appello.
 
In particolare, a base dell'affermato giudizio di colpevolezza, i giudici d'appello hanno posto l'omessa manutenzione del tratto stradale in cui si è verificato il sinistro, gravante ai sensi dell'art. 18 del capitolato di appalto sulla Ditta individuale M., che aveva comportato l'omesso ripristino del manto stradale laddove si erano determinati una serie di cedimenti del tratto stradale, già segnalati in epoca precedente all'incidente.
 
Non è infatti dubitabile, la posizione di garanzia in cui si trovava il M., nella qualità di titolare della ditta appaltatrice delle opere di manutenzione del manto stradale nel tratto di via Salaria interessato dal sinistro, in ragione dei compiti assunti contrattualmente con il Comune di Roma, che gli imponevano di iniziare immediatamente il servizio di sorveglianza ed il conseguente pronto intervento su tutte le superfici stradali, che non fossero oggetto di specifico appalto di manutenzione (art. 18 del capitolato di appalto).
 
Al riguardo, dovendosi solo precisare, che tra le fonti dell'obbligo di garanzia, tali da potere fondare la responsabilità omissiva ex art. 40, comma 2, c.p., rientrano - oltre che le norme di legge - anche le fonti convenzionali, tra le quali è certamente da ricomprendere un contratto tìpico, come quello di appalto (cfr. in generale Sez. IV, 22 maggio 2007, Conzatti; nonché, Sez. III, 22 settembre 2004, Lilli ed altro).
 
Ciò che rileva ovviamente per l'operatività dell'obbligo di garanzia, quale che sia la fonte a cui il medesimo si riconduce, è che, in ossequio al principio di personalità della responsabilità penale, vi sia stata la concreta assunzione da parte del garante dei poteri-doveri impeditivi non solo giuridici, ma anche fattuali dell'evento dannoso o pericoloso (cfr. la citata sentenza Conzatti), la cui sussistenza nella fattispecie in esame è stato oggetto di specifico e puntuale accertamento, non incrinato dalle deduzioni difensive.
 
In proposito, la Corte di merito ha anche affrontato la questione, reiterata in questa sede, in merito alla titolarità del dovere di sorveglianza dell'area, da individuarsi, secondo la tesi difensiva, nell'Acea, che aveva intrapreso una operazione di apertura cavi e che, pertanto, ai sensi dell'art. 22 del Capitolato di appalto, sarebbe stata tenuta agli obblighi di sorveglianza e di controllo dell'area.
 
L'assunto non è condivisibile.
 
In particolare, come emerge compiutamente dalla sentenza, la perizia disposta in sede di rinnovazione del dibattimento ha accertato che la causa determinante dell'incidente era da identificare nello sfortunato inserimento della ruota anteriore del motociclo all'interno della frattura presente nel primo avallamento (confermata dalla lacerazione del copertone anteriore) che aveva portato alla perdita di equilibrio del ciclomotore, aggravata dalla presenza di un secondo ravvicinato avallamento, che aveva colto impreparata la giovane vittima.
 
Il dato qui rilevante è che l'accertamento tecnico svolto, condiviso dai giudici di merito, con motivazione coerente e logica, aveva escluso che il tratto stradale in questione fosse ancora sotto la sorveglianza dell'Acea, che in precedenza aveva svolto alcuni lavori ed aveva con chiarezza concluso che i due avallamenti esistenti sul terzo/ quarto tombino- che produssero la perdita di equilibrio del ciclomotore- restavano fuori del controllo dell'Acea.
 
Alla luce di tali elementi, i giudici di merito hanno condivisibilmente ritenuto la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta del M., il quale negligentemente aveva trascurato l'adempimento degli obblighi assunti in sede contrattuale- ed il verificarsi dell'evento mortale. La dettagliata rappresentazione del fatto descritto in conformità alle risultanze dell'accertamento tecnico, ed il compiuto ed insindacabile apprezzamento dello stesso operato dai giudici di merito, consentono di escludere i vizi motivazionali dedotti in ricorso.
 
In proposito, non è inutile ricordare i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.
 
In questa sede, non è possibile una rinnovata valutazione dei fatti e degli elementi di prova. È principio non controverso, infatti, che nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento". Ciò in quanto l'art. 606, comma 1, lettera e), del c.p.p non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass., Sezione V, 13 maggio 2003, Pagano ed altri). In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, in particolare non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento di riscontro probatorio (Cass., Sezione IV, 14 dicembre 2006, Guarneri).
 
Tenuta presente tale regola e ribadito che la motivazione resa in ordine alla responsabilità dell'imputato è caratterizzata da un ragionamento coerente e logico, devono ritenersi privi di rilievo gli argomenti con i quali il ricorrente ripropone una diversa valutazione dei fatti. Inoltre, è evidente che l'accertamento di eventuali comportamenti colposi di terzi nella determinazione dell'evento non avrebbero escluso la violazione della posizione di garanzia assunta dal M., con la conseguenza che la responsabilità penale di altri non sarebbe valsa ad escludere, alla luce della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, in questa sede non censurabile, quella del prevenuto.
 
Analoghe conclusioni valgono con riferimento all'altra questione sollevata dalla difesa con il secondo motivo, con il quale si lamenta la carenza di motivazione, in relazione alla valutazione della asserita condotta colposa della vittima, laddove la Corte di merito avrebbe esclusivamente dato rilievo alla disconnessione del manto stradale, senza prendere in considerazione la velocità del mezzo, non adeguata ai luoghi.
 
Anche tale motivo è manifestamente infondato limitandosi a riproporre una diversa ricostruzione dei fatti, arrivando a sostenere la colpa esclusiva della giovane motociclista nella determinazione del sinistro.
 
Sul punto, la Corte di appello, con argomentazione condivisibile, ha ritenuto insussistente il concorso di colpa della vittima, che procedeva a velocità moderata in un tratto stradale in cui non vi era un limite particolare di velocità, riconducendo la causa della caduta in via esclusiva alla “trappola stradale” che si era venuta a creare nel tratto stradale, alla quale il M. violando gli obblighi contrattualmente assunti non aveva posto rimedio.
 
Il ricorrente, dietro l’apparente schermo del difetto di motivazione, trascurando di considerare i limiti del sindacato di legittimità, vorrebbe che qui si effettuasse una rinnovata ed inammissibile valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione coerente e logica in ordine alle ritenute modalità di verificazione del sinistro, che, come già sopra evidenziato, non può essere posta in discussione in questa sede.
 
Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (v. sentenza Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore della Cassa delle ammende, oltre che alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio, liquidate come in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
 
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 (mille) in favore della Cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in euro 2500, oltre Iva, Cpa e spese generali come per legge.