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Sezione di Barletta

 
   
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Cassazione Penale, Sez. IV, sent. 7/2/2008 (dep. 7/3/2008), n. 10495
mercoledì 23 aprile 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

Ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite sulla rilevanza penale della coltivazione e detenzione di cannabis.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. KOVERECH Oscar - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE D'APPELLO di
GENOVA;
nei confronti di:
1) V.D., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 09/11/2006 GIP TRIBUNALE di SAVONA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMENDOLA ADELAIDE;
Sentito il Procuratore generale della Repubblica, Dott. Vincenzo
Geraci, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Sentito l'avvocato PAPALIA Ubaldo, che si è associato alla richiesta
del Procuratore generale.

Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con sentenza del 9 novembre 2006 il GUP del Tribunale di Savona dichiarava non luogo a procedere, con la formula "perchè il fatto non sussiste", nei confronti di V.D., in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, a lui ascritto per avere coltivato, in assenza della prescritta autorizzazione, sei piante di cannabis indica.

In motivazione osservava il giudicante che nella fattispecie non era possibile determinare il peso a secco della sostanza attiva, necessario ai fini della valutazione del contenuto di THC nelle piantine sequestrate, perchè esse erano già completamente putrefatte nel momento in cui erano state esaminate dal C.T.U., il quale, conseguentemente, nessun giudizio aveva potuto formulare.

1.2 Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Genova, chiedendone l'annullamento per vizio di motivazione nonchè inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Ha dedotto in particolare che la giurisprudenza del Supremo Collegio costantemente ritiene che la condotta di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili stupefacenti è penalmente rilevante a prescindere dalla destinazione delle sostanze prodotte a uso personale e dal grado di tossicità delle piantine coltivate, essendo sufficiente anche la mera idoneità delle stesse alla produzione di sostanze droganti: il reato sarebbe invero di mero pericolo, come tale configurabile in presenza di coltivazione anche di una sola pianta avente siffatta potenzialità.

2.1 Il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 26, come modificato dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, vieta nel territorio dello Stato, fatte salve soltanto le condotte autorizzate dal Ministro della sanità a istituti universitari e laboratori pubblici per scopi scientifici, sperimentali e didattici, "la coltivazione delle piante comprese nella tabella I di cui all'art. 14", tra le quali figura la cannabis indica.

Il contenuto precettivo della norma è sostanzialmente conforme, per quanto qui interessa, a quello antecedente all'ultimo intervento riformatore, a sua volta praticamente sovrapponibile al testo della L. n. 685 del 1975, art. 26. Il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 4 bis, punisce con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da Euro 26.000,00 a Euro 260.000,00 la condotta di chi, senza le necessarie autorizzazioni "coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta procura ad altri, invia, passa, spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'art. 14".

Il successivo comma 1 bis sottopone poi alle medesime sanzioni penali la condotta di chi, senza le necessarie autorizzazioni, "importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene (...) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità (...) ovvero per altre circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale".

Non è superfluo aggiungere, per una compiuta ricognizione del quadro normativo di riferimento, che l'irrilevanza penale , e la soggezione a una sanzione amministrativa soltanto, della condotta di chiunque, "per farne uso personale" avesse illecitamente importato acquistato, o comunque detenuto sostanze stupefacenti o psicotrope, era, prima dell'intervento legislativo del 2006, sancito nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, comma 1, dal quale il D.P.R. n. 171 del 1993, art. 1, in attuazione del referendum del 18 aprile 1993, espunse il riferimento alla "dose non superiore a quella media giornaliera".

Orbene, sulla configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali possano ricavarsi sostanze stupefacenti come reato di pericolo presunto o astratto e, in genere, sulla nozione di coltivazione penalmente rilevante esiste da tempo, e si è di recente accentuato, un contrasto di giurisprudenza i cui termini si possono così schematizzare.

Secondo un primo orientamento (seguito, tra l'altro, da Cass., sez. 4, 5 gennaio 2006, n. 150; Cass., sez. 4, 17 ottobre 2006, n. 40295; Cass., sez. 6, 15 febbraio 2007, n. 20426; Cass. sez. 6, 28 settembre 2007, n. 35796; Cass. sez. 4, 10 gennaio 2008, n. 871), la condotta di coltivazione di piante da cui possano ricavarsi sostanze stupefacenti è governata esclusivamente dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 26 e art. 73, comma 1, restando quindi esclusa ogni operatività del comma 1 bis dell'art. 73 e, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 49 del 2006, del corrispondente art. 75, comma 1: in tale prospettiva, i fini della configurabilità del reato, sarebbe irrilevante la destinazione ad uso personale del prodotto o la modesta estensione della coltivazione .
Nell'ambito di tale indirizzo si ha peraltro sovente cura di precisare, in linea con le indicazioni formulate dal Giudice delle leggi nella sentenza n. 360 del 1995, che resta salva la necessità di verificare "l'offensività specifica della singola condotta in concreto accertata" (Corte cost. n. 360 del 1995), e cioè l'idoneità del comportamento scrutinato a ledere o a porre in pericolo il bene giuridico tutelato, con la conseguenza che la mancanza o l'insufficienza di effetto drogante del prodotto della coltivazione segna il limite oltre il quale essa diventa penalmente indifferente, operando la disciplina del reato impossibile (confr. Cass. n. 40295 del 2006, innanzi citata).
 
Secondo un altro orientamento, invece, la coltivazione di piante da cui possono ricavarsi sostanze stupefacenti, che non sia riconducibile alla nozione di coltivazione in senso tecnico-agrario, ovvero imprenditoriale, per l'assenza di alcuni presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la disponibilità di locali per la raccolta dei prodotti, e che, pertanto, rimanga nell'ambito della cosiddetta coltivazione domestica, ricade, pur a seguito della L. 21 febbraio 2006, n. 49, nella nozione, di genere e di chiusura, della detenzione, sicchè occorre verificare se, nel caso concreto, essa sia destinata ad un uso esclusivamente personale di quanto coltivato (Cass. sez. 6, 18 gennaio 2007, n. 17983; Cass. sez. 6, 31 ottobre 2007, n. 40362; Cass. sez. 6, 10 maggio 2007, n. 17983; Cass. sez. 6, 20 settembre 2007 n. 42650; Cass. sez. 6, 6 novembre 2007, n. 40712).

In tale contesto, rilevata la sussistenza di un contrasto interpretativo, (anche all'interno della medesima sezione), visto l'art. 618 c.p.p., ritiene il collegio di rimettere il ricorso alle Sezioni unite.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quarta Penale, il 7 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2008