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Sezione di Barletta

 
   
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Cass. Civ,Sez. I, sentenza 10/04/2008, n. 9338
giovedì 1 maggio 2008 - Pubblicazione a cura di

Lecito l'abbandono del tetto coniugale in caso di incomunicabilità tra coniugi.

Cassazione – Sezione prima – sentenza 10 aprile 2008, n. 9338 
 
Presidente Criscuolo – Relatore Luccioli Pm Caliendo – conforme - Ricorrente P. - Controricorrenti Di L.
 
Svolgimento del processo
 
Con sentenza del 19 marzo - 4 aprile 2004 il Tribunale di Trani dichiarava la separazione personale dei coniugi Vincenzo P. ed Angela Di L., rigettava le reciproche domande di addebito, poneva a carico del marito l'assegno di mantenimento di € 414,00 mensili, annualmente rivalutabili, confermava i provvedimenti presidenziali relativi alla assegnazione della casa coniugale al P., con parte degli arredi, ed alla facoltà della Di L. di asportare gli altri mobili a lei assegnati.
 
Proposto appello dal P. ed appello incidentale dalla Di L., con sentenza del 7 gennaio - 26 aprile 2004 la Corte di appello di Bari rigettava entrambe le impugnazioni, osservando in motivazione, in relazione alle opposte domande di addebito, che dalle stesse deduzioni delle parti, parzialmente confermate dalla documentazione prodotta, era possibile argomentare che il rapporto coniugale si era progressivamente deteriorato nel tempo, verosimilmente in ragione della diversità di vedute dei coniugi sulla gestione ed organizzazione della vita familiare, a sua volta determinata dalle loro differenze caratteriali, così che appariva difficile attribuire ai fatti contestati da entrambi i requisiti necessari per integrare l’addebito.
 
Quanto alla misura dell'assegno, rilevava la Corte che la quantificazione operata dal primo giudice, della quale entrambe le parti nelle rispettive impugnazioni si dolevano, era il risultato di una attenta comparazione delle loro situazioni reddituali ed appariva del tutto congrua, tenuto conto che la Di L. percepiva una pensione sociale di € 393,00, viveva in un immobile umido e malsano per il quale corrispondeva un canone mensile di € 250,00, soffriva di numerose patologie e non era in grado, anche in ragione dell'età, di esplicare alcuna attività lavorativa, mentre il P., che non aveva prodotto la documentazione aggiornata della pensione percepita, non aveva specificamente contestato l'affermazione della moglie secondo la quale egli fruiva di una pensione di L. 3.000.000 mensili, oltre che degli interessi maturati sui depositi bancari. Avverso tale sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi illustrati con memoria. La Di L. ha resistito con controricorso ed ha a sua volta proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
 
Motivi della decisione
 
Deve essere innanzi tutto disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.
 
Va altresì rigettata l’eccezione del P. di inammissibilità del controricorso e ricorso incidentale, in quanto notificato presso il domicilio eletto in Trani del difensore per il giudizio di primo grado, ad opera quindi di ufficiale giudiziario competente per una circoscrizione territoriale diversa da quella di Roma, dove l’atto avrebbe dovuto essere notificato, ed anche da quella di Bari, dove lo stesso difensore aveva eletto domicilio in sede di appello. Vale al riguardo l’assorbente rilievo che il controricorso con ricorso incidentale è stato notificato in mani proprie dell’avvocato Vincenzo G. , difensore del P. (anche) nel giudizio di cassazione: è qui appena il caso di ricordare che secondo la regola stabilita nell'art. 138 c.p.c, applicabile anche nei confronti dei difensori delle parti, la notifica di un atto a mani proprie del destinatario di esso, ovunque venga trovato dall’ufficiale giudiziario nell'ambito della circoscrizione dell'ufficio giudiziario cui è addetto, rende irrilevante l’indagine sulla residenza, domicilio o dimora del medesimo (v. per tutte Cass. 2005 n. 10868; 2000 n. 2323).
 
Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, si censura la sentenza impugnata per non essere stata ammessa la prova per interpello e per testi già richiesta in primo grado, diretta a dimostrare che l’abbandono della casa coniugale da parte della moglie era stata l’unica causa determinante della crisi coniugale, cui il marito aveva cercato di porre rimedio fino al momento della comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale.
 
Si deduce inoltre che le deduzioni della Di L. in ordine alle ragioni del proprio allontanamento, sulle quali la sentenza stessa si è fondata per escludere l’addebito, erano del tutto prive di sostegno probatorio. Si sostiene altresì che l’abbandono della causa coniugale, quale condotta violativa dell’obbligo di coabitazione imposto dall'art. 143 c.c., costituisce motivo di addebito anche in presenza di una situazione di incompatibilità caratteriale tra i coniugi, potendo trovare giustificazione soltanto quando ‘si configuri come reazione proporzionata a fatti gravi posti in essere dall'altro coniuge. Il motivo è infondato, sotto tutti i profili prospettati. Quanto alla prima doglianza, va rilevato che la sentenza impugnata ha osservato, con motivazione congrua e logicamente corretta, e quindi non censurabile in questa sede, che giustamente il primo giudice aveva ritenuto irrilevanti le prove dedotte, non consentendo esse di stabilire, così come articolate, quale dei comportamenti denunziati si ponesse come causa esclusiva del fallimento del vincolo coniugale.
 
In relazione alle ulteriori censure contenute nello stesso motivo, va rilevato che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, recepito nella consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo il quale l’abbandono della casa familiare non costituisce causa di addebitabilità della separazione quando sia stato determinato da una giusta causa, ossia dalla ricorrenza di situazioni di fatto, o anche di avvenimenti o comportamenti altrui, di per sé incompatibili con la protrazione della convivenza, ovvero quando sia intervenuto in un momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione di detta convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto (Cass. 2007 n. 17056; 2006 n. 1202; 2005 n. 12373; 2000 n. 10682). Ed invero detta Corte ha ritenuto, fornendo anche su tale punto una adeguata e logica motivazione, che l’allontanamento della Di L. dalla casa familiare trovasse ragione in una situazione di profonda crisi nel rapporto tra i coniugi, anche in relazione ad un difetto di reciproca comunicazione, sino a portare i coniugi ad una estraneità affettiva e relazionale, e quindi si ponesse non già come causa determinante del venir meno dell'unione, ma come mero effetto e presa d'atto di una situazione di intollerabilità della convivenza da tempo maturata.
 
Le ulteriori censure formulate sotto il profilo del difetto di motivazione si risolvono nella non consentita prospettazione di una diversa lettura del materiale probatorio, del quale inammissibilmente il P. sostiene l’idoneità a dimostrare la responsabilità della moglie nel fallimento dell'unione coniugale.
 
È noto invero che i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nella sollecitazione ad una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta o che attengano al diverso apprezzamento dei fatti e delle prove svolto dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando soltanto a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e attribuire prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge (v. per tutte Cass. 2007 n. 15489; 2007 n. 13954; 2007 n. 7972).
 
Con il secondo motivo, denunciando omissione, insufficienza e/o contraddittorietà di motivazione, si censura la sentenza impugnata per non essere stata ammessa la prova per interpello e per testi diretta a dimostrare che la Di L. si era trasferita a Napoli, dove svolgeva attività di governante percependo L. 700.000 mensili, e si deduce che tale entrata, unitamente alla pensione sociale, soggetta agli aumenti previsti dalle recenti riforme pensionistiche, avrebbe dovuto ritenersi idonea a garantirle la conservazione del precedente tenore di vita. Tale motivo va esaminato congiuntamente con l’unico motivo del ricorso incidentale, con il quale, denunciando contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo, la Di L. deduce che la sentenza impugnata, nel rigettare l'appello incidentale diretto ad ottenere una più elevata determinazione dell'assegno, ha assunto una motivazione evanescente, intrinsecamente contraddittoria ed inidonea a far intendere il procedimento logico giuridico posto a base della decisione, in quanto, a fronte della accertata notevole diversità delle posizioni reddituali, delle patologie di cui soffre la esponente, del peso del canone di locazione sulla medesima gravante, ha fissato l'ammontare dell’assegno in modo del tutto incongruo, ravvisando l’esigenza di garantire un decoroso mantenimento soltanto nei riguardi del P. e richiamando genericamente un bisogno di cure mediche da parte del medesimo.
 
I due motivi così sintetizzati, che investono sotto opposte prospettive la decisione della Corte di appello in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento, sono entrambi infondati. La decisione impugnata si sottrae alle censure di vizio di motivazione specularmente denunciate, avendo la Corte territoriale dato adeguatamente conto del proprio convincimento sul punto, da un lato accertando che la donna, ormai settantenne, non era in grado di espletare alcuna attività lavorativa e dall'altro prendendo in esame le condizioni reddituali e patrimoniali dell'uno e dell’altro coniuge, quali risultanti dalla documentazione prodotta, infine richiamando le esigenze di cura del marito, determinate dalle sue non buone condizioni di salute.
 
In tale percorso argomentativo appare chiaramente sottesa la valutazione di irrilevanza della prova per interpello e per testi dedotta dal P., il cui articolato, come riportato nel ricorso per cassazione, si profila estremamente generico, in quanto privo di ogni riferimento temporale in ordine al trasferimento della donna a Napoli ed alla prestazione in detta città di una attività retribuita. L’esito della lite induce a compensare interamente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
 
P.Q.M.
 
La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.