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Sezione di Barletta

 
   
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Cassazione Civile, sez. III, sent. 6/3/2008 (dep. 15/4/2008), n.9884
giovedì 8 maggio 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

Il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, pur non richiedendosi che, tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ed essendo, viceversa, sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, la "messa in relazione" delle stesse costituisca l'antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto; sicché, la prestazione del mediatore ben può esaurirsi nel ritrovamento e nell'indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, sempre che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che, senza di essa, il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 6 marzo – 15 aprile 2008, n. 9884
(Presidente Fantacchiotti – Relatore Spirito)
Svolgimento del processo

Il G. citò in giudizio il P. ed il D. per il pagamento in suo favore di una somma di danaro a titolo di provvigione per attività di mediazione svolta in relazione alla compravendita immobiliare stipulata tra i convenuti. Il P. propose, a sua volta, domanda riconvenzionale contro il G., per essere risarcito dei danni derivatogli dal fatto che la controparte aveva promosso la vendita del suo immobile ad un prezzo inferiore a quello stabilito.
Il Tribunale di Roma respinse la domanda del G., ritenendo che questo non avesse diritto alla provvigione in quanto non iscritto all'albo dei mediatori; respinse anche quella riconvenzionale del P., siccome collegata ad un'attività di mediazione affetta da nullità.

L'appello del G. fu poi rigettato dalla Corte di Roma, la quale, premesso che il G. risultava regolarmente iscritto all'albo dei mediatori, ritenne che non v'era prova circa il fatto che la vendita fosse stata realmente conclusa per effetto di un suo intervento qualificabile come attività di mediazione, e ciò in quanto: il P. aveva conferito al G. un mandato irrevocabile ed esclusivo a promuovere la vendita dell'immobile (mandato, dunque, incompatibile con la caratteristica terzietà del mediatore); nulla il G. aveva dedotto in merito all'eccezione del Panizzi di essersi rifiutato di pagargli il compenso, sia perché il mandato conferitogli aveva durata limitata nel tempo, sia perché il G. aveva pubblicizzato l'immobile ad un prezzo inferiore a quello pattuito; la documentazione in atti confortava l'assunto del P., secondo cui l'incarico era stato revocato al G. proprio in ragione di quelle inadempienze e l'acquirente era stato autonomamente reperito da sé venditore; la mera circostanza che l'immobile fu mostrato all'acquirente dall'agenzia del G. è irrilevante quanto al diritto di quest'ultimo al compenso. La Corte romana ha anche respinto l'appello incidentale del P. relativo alla sua originaria domanda ri-convenzionale di risarcimento del danno.

Il G. propone ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Roma a mezzo di due motivi. Risponde con controricorso il P., il qua­le propone anche ricorso incidentale condizionato. Il P. ha depositato memoria per l'udienza.

Motivi della decisione

Con il primo motivo - violazione art. 1754 c.c., vizi della motivazione - il ricorrente sostiene di avere dato prova sia dell'incarico affidatogli, sia dell'attività svolta alla ricerca dell'acquirente, sia dell'avvenuta visita dell'immobile da parte del D. in costanza di mandato, sia dell'incontro delle volontà dell'acquirente e del venditore dell'immobile stesso. Lamenta, dunque, che, benché sia stata allegata la prova del compimento dell'attività mediatoria da sé svolta, la sentenza abbia negato il suo diritto al compenso.

Il secondo motivo - vizi della motivazione - censura il punto della sentenza laddove s'afferma la carenza di prova circa il fatto che la compravendita sia stata realmente conclusa per effetto di un intervento del P. qualificabile come attività di mediazione e insiste sul valore probatorio della dichiarazione "confessoria" con la quale il D. ammise che il primo contatto per l'acquisto dell'appartamento avvenne per il tramite del G..

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.

Occorre esordire con l'affermazione del principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, pur non richiedendosi che, tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ed essendo, viceversa, sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, la "messa in relazione" delle stesse costituisca l'antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto; sicché, la prestazione del mediatore ben può esaurirsi nel ritrovamento e nell'indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, sempre che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che, senza di essa, il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata.

Tra le varie, cfr. Cass. 11 aprile 2003, n. 5762, 8 marzo 2002, n. 3438, entrambe le quali hanno riconosciuto il diritto del mediatore alla provvigione per avere egli fatto visitare l'immobile alla persona che, dopo un lungo lasso temporale e la scadenza del mandato d'agenzia, s'era determinata ad acquistare attraverso il contatto diretto con il venditore.

La sentenza impugnata, mediante una motivazione in parte perplessa ed in parte contraddittoria, non ha fatto corretta applicazione dell'enunciato principio. Essa, infatti, riconosce: l'esistenza agli atti della prova dell'avvenuto conferimento, da parte del P. ed in favore del G., di un "mandato irrevocabile ed esclusivo ... di compiere tutti gli atti ... necessari a promuovere la vendita dell' immobile ..." (cfr. pag. 4 della sentenza); l'individuazione diretta, da parte del P., dell'acquirente, nella persona di tal C., il quale, nello stesso giorno, prima sottoscrisse un contratto preliminare di compravendita "per sé o per persona da nominare" e poi indicò il promissario acquirente nella persona del D.; la pretesa della provvigione, da parte del G., fondata sulla circostanza che l'immobile fu "mostrato" al D. da personale della sua agenzia.

Ciononostante, con il riferimento ad una risalente giurisprudenza, il provvedimento impugnato nega al G. il diritto alla provvigione, senza svolgere alcuna valutazione circa l'esistenza o meno di tutti gli elementi sintomatici della mediazione (come sopra descritti) ed, in particolare dell'apporto causale (pure evidenziato dal precedente citato nella sentenza stessa) da lui fornito al buon fine dell'affare; piuttosto valorizzando alcuni elementi assolutamente irrilevanti rispetto alla pretesa, quali il fatto che il mandato non si concilia con il tipico rapporto di mediazione (si tratta di un obiter assolutamente impertinente rispetto alla fattispecie trattata) , che esso era stato conferito con validità limitata nel tempo e che il mediatore aveva pubblicizzato l'immobile ad un prezzo in­feriore a quello indicato nell'atto di conferimento del mandato.

Altrettanto priva di valutazione è la dichiarazione in atti del D. (alla quale fa specifico riferimento il ricorrente) circa il primo contatto per l'acquisto dell'immobile avvenuto per il tramite dell'agenzia del G., come pure la particolare circostanza che il preliminare fu stipulato da un estraneo (il C.) per poi riverberare gli effetti, in uno strettissimo arco temporale, sul D..

In accoglimento del ricorso principale la sentenza deve essere, dunque, cassata perché il giudice del rinvio riesamini la fattispecie alla luce dell'enunciato principio e delle considerazioni sopra svolte.

Quanto al ricorso incidentale del P., esso è rivolto verso il punto della sentenza che gli nega il risarcimento del danno per avere il G. posto in vendita l'immobile ad un prezzo inferiore a quello stabilito nel mandato. Il gravame si manifesta assolutamente generico e privo di una concreta censura avverso l'affermazione contenuta in sentenza, secondo cui manca agli atti la dimostrazione dell'effettivo nocumento sofferto dal P., nella considerazione che l'attività promozionale svolta dal G., in quanto limitata nel tempo, è inidonea a determinare un'effettiva, irreversibile svalutazione del valore commerciale del bene che si assume essere stato impropriamente pubblicizzato.

Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta l'incidentale accoglie il principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche perché provveda sulle spese del giudizio di cassazione.