Unione Degli Avvocati d'Italia

Sezione di Barletta

 
   
venerdì 19 aprile 2024 - ore 01:37
Cassazione penale, Sezioni Unite, sentenza 6/03/2008, n.10280.
venerdì 9 maggio 2008 - Pubblicazione a cura di

MISURE CAUTELARI - SEQUESTRO PREVENTIVO - ART. 322 TER C.P. - CONCUSSIONE - NOZIONE DI PROFITTO

MISURE CAUTELARI - SEQUESTRO PREVENTIVO - ART. 322 TER C.P. - CONCUSSIONE - NOZIONE DI PROFITTO
La Corte era stata investita della legittimità di un sequestro preventivo di un bene acquistato con il danaro conseguito dall’imputato attraverso il reato di concussione. Si trattava in altri termini di stabilire se il bene in sequestro potesse correttamente qualificarsi come profitto, ancorché indiretto, del reato e rientrare pertanto nella prima parte dell’art. 322 ter comma 1 c.p., che prevede la confisca obbligatoria del profitto di taluni delitti contro la P.A..
Le Sezioni unite hanno optato per un’interpretazione estensiva della nozione di profitto, comprensivo cioè anche delle trasformazioni che il denaro illecitamente conseguito subisca per effetto del suo investimento, quando queste siano collegabili casualmente al reato stesso e al profitto immediato conseguito (il denaro) e siano “soggettivamente” attribuibili all’’autore del reato che quelle trasformazioni abbia voluto.
 
 
 
 
Cassazione penale, Sezioni Unite,
sentenza 6 marzo 2008, n.10280
- Pres. Battisti – est. Marasca
 
Svolgimento del processo
 
 
In data 25 febbraio 2005 il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Velletri emetteva decreto di sequestro preventivo d'urgenza, ai sensi degli articoli 321, commi 2, 2 bis e 3 bis c.p.p. in relazione all'articolo 322 ter c.p., di un immobile (casale e corte circostante) intestato a S. M..
Secondo la prospettazione accusatoria, il maresciallo M. G. - che per tali fatti era stato raggiunto, per la violazione dell'articolo 317 c.p., il 21 giugno 2004 anche dalla misura cautelare personale della custodia in carcere, poi sostituita con quella degli arresti domiciliari dal Tribunale della libertà - in concorso con la moglie S. M., abusando della sua qualità di comandante della stazione dei carabinieri di Cecchina, aveva indotto un imprenditore edile, M.M., e la moglie di questi, M.M.P., titolare di una farmacia, a corrispondergli, tra il dicembre 2001 ed il gennaio 2002, la somma di Euro 178.188,00, come aiuto economico per l'acquisto di un casale, per il suo interessamento a varie indagini giudiziarie riguardanti le attività professionali di questi ultimi.
Nel disporre il sequestro dell'immobile, il Pubblico Ministero invocava l'articolo 322 ter c.p.p., ponendo in evidenza che la somma corrisposta dai M. costituiva il profitto del reato di concussione che equivaleva al valore dell'immobile.
Con provvedimento del 5 marzo 2005, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Velletri, facendo interamente proprie le motivazioni espresse dal Pubblico Ministero, convalidava il sequestro e contestualmente disponeva il sequestro preventivo dell'immobile in questione.
2) Il procedimento di riesame ed il provvedimento impugnato Sulle distinte istanze di riesame proposte dal M. e dalla S., il Tribunale del riesame di Roma provvedeva confermando il sequestro, ma la Corte di Cassazione, con sentenze del 4 aprile 2006, annullava con rinvio le relative ordinanze emesse in data 29 marzo e 1 aprile 2005 per mancato rispetto del termine di cui al comma VI dell'articolo 324 c.p.p..
In sede di rinvio, con ordinanza del 24 novembre 2006, il Tribunale di Roma, previa riunione delle richieste di riesame del M. e della S., confermava il provvedimento di sequestro preventivo.
In particolare il Tribunale - dopo aver osservato che era palese il fumus del reato contestato e che era lo stesso M. a riconoscere alla moglie S. Maria la qualità di semplice prestanome - rigettava l'eccezione di illegittimità del sequestro per equivalente del profitto della concussione sollevata con i motivi aggiunti dal difensore del M., che aveva sostenuto la inapplicabilità al caso di specie dell'articolo 322 ter c.p., in quanto tale norma non contemplerebbe il sequestro per equivalente del profitto del reato di concussione, ma soltanto del prezzo.
3) Il ricorso per cassazione.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione M. G. tramite il suo difensore di fiducia avvocato C.T. deducendo, quale unico motivo di impugnazione, la erronea applicazione dell'articolo 322 ter c.p., che detta la disciplina in tema di confisca obbligatoria correlabile ai reati posti in essere dal pubblico ufficiale contro la Pubblica Amministrazione.
In particolare il ricorrente osservava che la seconda parte del comma dell'articolo 322 ter c.p. prevede esclusivamente la confisca per equivalente del prezzo del reato commesso dal pubblico ufficiale.
Nel caso di specie, dovendo essere correttamente configurata la somma di danaro percepita dall'imputato come profitto del reato contestatogli, risulterebbe illegittima la confisca di beni non effettivamente percepiti dal soggetto attivo in corrispondenza alla sua condotta delittuosa, ma costituenti soltanto il valore corrispondente.
Inoltre il concetto di profitto ai fini del sequestro per equivalente sarebbe preso in considerazione soltanto dal comma II dell'articolo 322 ter c.p. ed esclusivamente con riferimento al reato di cui all'articolo 321 c.p..
4) L'ordinanza di rimessione e la questione giuridica controversa.
Il ricorso veniva assegnato alla seconda Sezione penale che, con ordinanza del 23 maggio 2007, rimetteva la decisione alle Sezioni Unite Penali.
Il Collegio, dopo avere rilevato che il concetto di profitto era stato identificato dalla giurisprudenza nell'utile ottenuto in seguito alla commissione del reato e, come tale, differenziato dal prezzo del reato, che costituisce, invece, il compenso pattuito e conseguito da una persona determinata come corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (così SS.UU. pen. 3 luglio 1996 - depositata il 17 ottobre 1996, n. 9149, Chabni Samir, rv. 205707) e precisato che il profitto doveva identificarsi in un vantaggio di natura economica di diretta derivazione causale dall'attività del reo (vedi SS.UU. pen. 24 maggio 2004, depositata il 9 luglio 2004, n. 29951, Curatela fallimento in proc. Focarelli, rv. 228166 ), chiariva che nel caso di specie il sequestro non poteva inquadrarsi in una misura cautelare diretta, ma si doveva ritenere che il bene sequestrato costituisse il tantundem corrispondente al danaro versato, profitto del contestato delitto di concussione.
Ebbene - osservava ancora la II Sezione - due decisioni della VI Sezione penale (Cass. Pen., Sez. VI, 13 marzo 2006, depositata in data 11 aprile 2006, n. 12852, Ingravallo, rv. 233742; e Sez. VI pen., 13 marzo 2006, depositata il 22 maggio 2006, n. 17566, Tortorici, rv. 234505) per risolvere analogo problema avevano adottato una interpretazione letterale e restrittiva della norma in discussione, essenzialmente osservando che mentre la prima parte del primo comma dell'articolo 322 ter c.p. prevede la confisca, in caso di condanna o di applicazione della pena a richiesta di parte ex articolo 444 c.p.p. per uno dei reati previsti dagli articoli da 314 a 320 c.p., dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, .........la seconda parte della norma prevede, quando la apprensione diretta dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato non sia possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo
Sarebbe, invece, possibile, secondo il Collegio remittente, altra interpretazione della norma che comprenda nell'ultima parte del primo comma dell'articolo 322 ter c.p. ogni provento del reato, ovvero sia il prezzo che il profitto
Siffatta interpretazione risulterebbe maggiormente in linea con la ratio della norma, introdotta dalla legge 20 settembre 2000 n. 300 di ratifica, tra l'altro, della Convenzione Ocse sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri, che si inserisce in un trend normativo finalizzato all'ampliamento della tutela reale per equivalente, in vista della repressione dei reati di particolare allarme sociale e nocività economica.
Al contrario la interpretazione restrittiva finirebbe per rendere in pratica inattuabile la confisca per equivalente per gravi reati contro la Pubblica Amministrazione diversi dalla corruzione attiva di cui all'articolo 321 c.p., disciplinata specificamente dal secondo comma dell'articolo 322 ter c.p. più volte citato.
Il Collegio ha precisato che argomenti a favore di una interpretazione estensiva della norma in discussione potrebbero essere tratti anche dalla motivazione sviluppata dalle Sezioni Unite penali (SS.UU. penali 25 ottobre 2005, depositata il 22 novembre 2004, n. 41936, Muci) che hanno risolto il contrasto giurisprudenziale sulla sequestrabilità per equivalente del profitto dei reati previsti dall'articolo 640 quater c.p., facendo leva essenzialmente sul trend internazionale inteso ad estendere l'istituto della confisca di valore, di cui si è già detto, ed ai lavori preparatori che differenziarono il primo ed il secondo comma dell'articolo 322 ter c.p. principalmente per distinguere, in ossequio alla normativa internazionale, le posizioni del privato corruttore, di cui si perseguiva unicamente l'apprensione in via diretta o per equivalente del profitto, dalla figura del funzionario pubblico corrotto o concussore, rispetto al quale veniva in rilievo, con particolare riguardo al fine della commisurazione della confisca per equivalente, il quantum ricevuto.
In considerazione del conflitto di giurisprudenza che avrebbe determinato l'adesione alla interpretazione estensiva ed avuto anche riguardo alla speciale importanza della questione il Collegio rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite Penali.
Con decreto del 5 luglio 2007 il Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione assegnava il ricorso in questione alle Sezioni Unite Penali, che sono quindi chiamate a risolvere la seguente questione giuridica controversa:
Se, in riferimento al delitto di concussione, possa disporsi la confisca per equivalente, prevista dall'articolo 322 ter, comma I, ultima parte c.p., non solo del prezzo, ma anche del profitto del reato.
 
Motivi della decisione
 
5) Premessa
Come si è già accennato non è in discussione in questa sede di legittimità la sussistenza nel caso di specie dei presupposti necessari per l'adozione di un provvedimento di sequestro preventivo, ovvero il fumus commissi delicti ed il periculum in mora, perché nessun motivo è stato sviluppato sul punto.
Quanto poi alla sussistenza del secondo requisito è appena il caso di ricordare che nel caso di specie si verte in una ipotesi di confisca obbligatoria per effetto dell'articolo 322 ter comma I c.p., che impone, in caso di condanna o di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. per uno dei reati da 314 a 320 c.p., la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo. Per le stesse ipotesi di reato è previsto poi, in sede di indagini preliminari, il sequestro preventivo obbligatorio ai sensi e per gli effetti dell'articolo 321 comma 2 bis c.p.p., introdotto dall'articolo 6 della legge 27 aprile 2001 n. 97, secondo il quale nel corso del procedimento penale relativo ai delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca
Ciò posto il ricorrente con un unico motivo di impugnazione ha dedotto la illegittimità del sequestro sul presupposto che trattandosi di presunto profitto, ossia di provento del reato, non direttamente collegabile al reato contestato, nel caso di specie non sarebbe stato possibile un provvedimento di sequestro ai sensi della prima parte del primo comma dell'articolo 322 ter c.p., ma semmai in base a quanto disposto dall'ultima parte dell'articolo 322 ter c.p., che prevede il sequestro del tantundem, ovvero il sequestro di un bene di valore equivalente.
Senonché il ricorso a tale istituto non sarebbe stato possibile nel nostro caso dal momento che la norma prevede il sequestro per equivalente soltanto del prezzo del reato e non anche del profitto dello stesso.
6) Impostazione del problema.
E' necessario in primo luogo ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, i beni e le utilità che il concussore riceve per effetto della sua attività di costrizione o induzione costituiscono, a differenza di quanto deve dirsi per l'utilità ricevuta dal corrotto, il profitto e non il prezzo del reato (da ultimo Cass., Sez. VI penale, 14 giugno 2007 - 30 luglio 2007, n. 30966, Puliga, rv. 236984 non massimata sul punto).
E' vero che è presente anche un altro orientamento minoritario che qualifica come prezzo e non come profitto del reato di concussione il danaro dato o promesso al pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio (Cass., Sez. VI, 19 marzo 1998 - 29 aprile 1998, n. 994, Chiesa), ma la soluzione non è accettabile dal momento che il danaro o altro bene ricevuto dal concussore non è altro che il lucro, ovvero il provento del reato, e cioè il vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato.
Per questa, e per altre ragioni meglio precisate in seguito, si deve ritenere, conformemente a quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, dal ricorrente e dalla ordinanza di remissione, che il danaro o il bene ricevuto dal presunto concussore M. costituisca il profitto del reato di cui all'articolo 317 c.p. contestatogli.
Ciò posto la prima questione da risolvere è se nel caso di specie sia ravvisabile una ipotesi di sequestro per equivalente o di valore disciplinato dall'articolo 322 ter c.p., o un caso di sequestro del profitto del reato di concussione contestato al M..
Da quanto risulta dal provvedimento impugnato e da quello del GIP il sequestro preventivo nel caso di specie è stato disposto in applicazione della previsione di cui alla prima parte dell'articolo 322 ter comma I c.p., essendosi ritenuto che l'immobile con l'annessa corte costituisse il profitto, ancorché indiretto, del delitto di concussione contestato ai coniugi M. e S. in concorso tra loro.
I giudici dei primi due gradi di giurisdizione hanno, invero, sostenuto che il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca e, quindi, nelle indagini preliminari, ai sensi dell'articolo 321, comma II bis, c.p.p., il sequestro preventivo, doveva intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa. A sostegno della loro tesi i giudici hanno richiamato un precedente della Suprema Corte (Cass., Sez. VI penale, 21 ottobre 1994, Giacalone, rv. 200855), che in un caso analogo a quello in discussione aveva ritenuto che legittimamente fosse stato disposto dal GIP il sequestro preventivo di un appartamento che, in base agli elementi acquisiti al processo, era risultato acquistato con i proventi del reato di concussione.
Senonché la remittente Sezione II penale della Cassazione non ha ritenuto di accogliere un concetto estensivo di profitto e aderendo alla impostazione restrittiva, secondo la quale il profitto del reato costituisce un vantaggio di natura economica di diretta derivazione causale dall'attività del reo, dovendosi escludere una estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita di un qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa scaturire da un reato (in tal senso vedi SS.UU. 24 maggio 2004 - 9 luglio 2004, n. 29951, Curatela fallimentare in proc. Focarelli, rv. 228166 ), ha stabilito che nel caso di specie non si potesse parlare di profitto del reato disciplinato dall'articolo 322 ter comma I, prima parte c.p., ma di sequestro del tantundem disciplinato dalla seconda parte dell'articolo e del comma predetti.
Tanto premesso la II Sezione ha rilevato, come già detto, dei contrasti nella interpretazione della seconda parte dell'articolo 322 ter c.p. perché secondo una tesi restrittiva si doveva ritenere il sequestro per valore possibile soltanto con riferimento al prezzo del reato e non anche al profitto dello stesso, mentre in base ad una interpretazione estensiva, che appariva in consonanza con la più recente normativa europea, che sempre più cerca di colpire i proventi del reato, ed italiana nonché con la giurisprudenza più recente della Suprema Corte in casi analoghi (SS.UU. 25 ottobre 2005 - 22 novembre 2005, Muci, n. 41396 rv. 232164, decisione che ha risolto il contrasto giurisprudenziale sorto in merito all'ambito di applicazione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente di cui all'articolo 640 quater c.p. ), si sarebbe dovuto ritenere possibile il sequestro di valore anche con riferimento al profitto del reato.
Questo Collegio ritiene che, come ha correttamente rilevato il sostituto procuratore generale di udienza, nel caso di specie il disposto sequestro preventivo sia riconducibile alla prima parte dell'articolo 322 ter c.p. e che non si possa, quindi, parlare di sequestro per valore equivalente Di conseguenza il contrasto giurisprudenziale denunciato dalla Sezione remittente non appare rilevante nel caso di specie.
7) Soluzione della questione: l'oggetto della confisca obbligatoria ex articolo 322 ter, primo comma, prima parte c.p..
E' necessario chiarire il preciso significato di profitto del reato per verificare se, come sostenuto nell'ordinanza impugnata, fosse o meno possibile disporre il sequestro dei beni dei coniugi M. e S. ai sensi del primo comma, prima parte dell'articolo 322 ter c.p..
Circa il significato di profitto del reato, con riferimento al modello di confisca delineato dall'articolo 240 c.p., è rinvenibile una ricca elaborazione giurisprudenziale e dottrinale in merito alla distinzione ivi contenuta tra il prezzo da un lato e il profitto ed il prodotto del reato dall'altro, atteso il diverso regime di confiscabilità.
Il prezzo è stato identificato in quello pattuito e conseguito da una persona determinata, come corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (vedi SS.UU. 15 dicembre 1992 - 24 febbraio 1993, n. 1811, Bissoli, rv. 192493).
Più precisamente si è detto che il prezzo costituisce il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato (così SS.UU. 3 luglio 1996 - 17 ottobre 1996, Chabni, n. 9149, rv. 205707).
Si esclude, pertanto, che al concetto di prezzo possa essere attribuita la definizione di utilità economica ricavata dalla commissione del reato, tanto è vero che la Suprema Corte ha qualificato il danaro guadagnato dallo spacciatore con la vendita di sostanze stupefacenti, ai fini della confiscabilità ex articolo 240, comma II, c.p., come profitto e non come prezzo del reato, soluzione questa alla quale ha aderito tra l'altro anche Corte Costituzionale con la ordinanza n. 334 del 1994.
Non mancano, comunque, le incertezze interpretative perché talvolta la giurisprudenza sembra ricomprendere il prezzo del reato all'interno del più ampio concetto di provento del reato, nozione utilizzata molto dalla normativa comunitaria e che nella nostra legislazione sembra riferirsi essenzialmente al prodotto ed al profitto del reato.
In effetti se la sentenza Bissoli (SS.UU. 15 dicembre 1992 - 24 febbraio 1993, citata) esclude una sovrapposizione tra i due concetti, identificando il provento del reato soltanto nelle cose costituenti il prodotto o il profitto dello stesso, la sentenza Bacherotti (SS.UU. 28 aprile 1999-8 giugno 1999, n. 9, Bacherotti) assegna alla locuzione provento del reato carattere onnicomprensivo e, quindi, nella sua latitudine semantica, comprensivo di tutto ciò che deriva dalla commissione del reato e pertanto delle diverse nozioni indicate nell'articolo 240 commi 1 e 2 c.p. di prezzo, prodotto e profitto
Ora, prescindendo dal tentativo, peraltro minoritario, di comprendere anche il prezzo del reato nel più ampio concetto di provento del reato, ciò che rileva ai fini della presente decisione è che il provento sia certamente costituito dal prodotto e dal profitto del reato, ove per prodotto deve intendersi il risultato, ovvero il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita, mentre per profitto il lucro, e cioè il vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato (così SS.UU., Chabni, citata).
Se vi è accordo in giurisprudenza e dottrina sul concetto di profitto del reato così come delineato, vi sono alcune incertezze, sulle quali è necessario soffermarsi, sulla correlazione tra il bene da aggredire con la confisca, e, quindi, con il sequestro, ed il reato produttivo di utile economico.
Si contrappongono, infatti, due interpretazioni dell'articolo 240 c.p., una più restrittiva, che ha affermato la necessità di una stretta affinità del bene con l'oggetto del reato, considerando irrilevante ogni altro legame di derivazione meramente indiretto e mediato, ed una più estensiva, che ha considerato profitto del reato anche i beni acquisiti con l'impiego dell'immediato profitto del reato.
La interpretazione estensiva appare quella maggiormente fondata.
In effetti non è possibile ritenere che le utili trasformazioni dell'immediato prodotto del reato e gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa possano impedire che al colpevole venga sottratto ciò che era precisamente obbiettivo del disegno criminoso e che egli sperava di convertire in mezzo di maggior lucro e di illeciti guadagni (in tali termini vedi la Relazione ministeriale al progetto definitivo del codice penale, I, n. 240, pagina 280).
Ponendosi in tale linea interpretativa la Suprema Corte ha stabilito che la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al sequestro preventivo, il quale può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito (Cass., Sez. VI, 21 ottobre 1994 - 25 gennaio 1995, n. 4114, Giacalone, rv. 200855 già citata, che aveva considerato profitto del reato soggetto a confisca un appartamento acquistato con i proventi della concussione).
Ciò perché nel concetto di profitto o provento di reato vanno compresi non soltanto i beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità, che lo stesso realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa.
La sentenza citata, in modo del tutto condivisibile ha, inoltre, chiarito che la nozione di profitto o provento deve essere riguardata in rapporto all'arricchimento complessivo ed ha precisato che il bene frutto dell'investimento del denaro frutto della illecita condotta, siccome univocamente collegato alla esecuzione del crimine mantiene l'idea e costante l'attrattiva del reato in misura maggiore e più a lungo di quanto continuerebbe a fare il denaro stesso
Tale indirizzo deve essere pienamente condiviso perché fondato su una corretta interpretazione letterale dell'articolo 240 c.p. e logico - sistematica dell'istituto della confisca, posto che la ratio dell'istituto è certamente quella di consentire la confisca di tutto ciò che sia qualificabile come frutto, o meglio come provento, del reato commesso.
Insomma qualsiasi trasformazione che il danaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia collegabile causalmente al reato stesso ed al profitto immediato - il danaro - conseguito e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto.
Una diversa e più restrittiva interpretazione non sembra, infatti, compatibile con la finalità dell'istituto che è quella di rendere l'illecito penale improduttivo e, quindi, scoraggiare la commissione di ulteriori illeciti.
La funzione general - preventiva che la confisca, quale misura di sicurezza, sta sempre più assumendo nella legislazione italiana e comunitaria non può, infatti, essere frustrata da una interpretazione restrittiva dell'articolo 240 c.p., che renderebbe difficilmente aggredibile il bene oggetto della trasformazione del danaro frutto dell'illecito commesso.
Confortano siffatta impostazione anche altre pronunce della Corte di Cassazione che, addirittura prescindendo dall'elemento psicologico dell'azione, hanno qualificato come profitto del reato non soltanto i vantaggi direttamente acquisiti dal reo attraverso la sua attività criminosa, ma tutte le utilità comunque ottenute, e, quindi, medio tempore trasformate in altri beni.
Sono stati, pertanto, ritenuti confiscabili anche i cd. surrogati del profitto, ovvero i beni acquistati con danaro di cui risulti accertata la concreta provenienza da reato (nel senso indicato vedi Cass., Sez. VI penale, 14 aprile 1993 - 22 settembre 1993, n. 1041, Ciarletta, rv. 195683, che nello stabilire il principio che non costituiscono ostacolo alla confisca le trasformazioni e modifiche che il prodotto del reato abbia subito, ha ritenuto profitto del reato titoli di stato acquistati con il danaro ricevuto direttamente dai concussi ).
Sempre nella stessa linea interpretativa si iscrivono numerose altre pronunce della Suprema Corte che hanno ritenuto profitto del reato anche la trasformazione che il danaro abbia subito in beni di altra natura, purché la trasformazione abbia i caratteri della certezza e della esatta corrispondenza di valori (Cass., Sez. II penale, 14 giungo 2006 - 27 settembre 2006, n. 31988, Chetta, rv. 235357; Cass., Sez. II penale, 14 giugno 2006 - 27 settembre 2006, n. 31990, Italinvest srl e altro, rv. 235129; Cass., Sez. I penale, 27 maggio 1994, 30 giugno 1994, n. 2551, Sorrentino, rv. 198347 in ordine ad un immobile, anche se erroneamente qualificato prodotto del reato, acquistato con il denaro peculato; Cass., Sez. VI penale, 19 dicembre 1997, 10 marzo 1998, n. 5185, Nardelli, rv. 210676 in ordine a certificati di deposito e autovettura acquistati con denaro, del quale risultava accertata la concreta provenienza da reato, ricavato dal reato di concussione).
Una ampia nozione di profitto estensibile anche a beni ottenuti indirettamente dal reo attraverso l'utilizzo del profitto stesso si rinviene anche in altra decisione, secondo la quale la nozione di profitto si riferisce non solo ai beni che l'agente consegue a seguito della perpetrazione dell'illecito, ma ad ogni altra utilità o bene che questi ottenga anche indirettamente dall'utilizzo dei medesimi (Cass., Sez. II penale, 18 giugno 2004 - 23 luglio 2004, n. 32381, che ha ritenuto per tale ragione legittimo il sequestro in forma specifica ex articolo 640 quater c.p. di impianti aziendali, in luogo delle somme indebitamente percepite in relazione al reato di cui all'articolo 640 bis c.p.).
Infine altra recente decisione (Cass., Sez. VI penale, 14 giugno 2007 - 30 luglio 2007 n. 30966, Puliga, rv. 236984) nello stabilire che, quando il profitto del reato di concussione sia costituito da danaro, è legittimamente operato in base alla prima parte dell'articolo 322 ter comma I c.p. il sequestro preventivo di disponibilità di conto corrente dell'imputato, ha chiarito in motivazione che in casi siffatti non si tratta di confisca per equivalente, ma di una ipotesi di confisca in forma specifica.
Le conclusioni raggiunte appaiono in linea anche con la normativa internazionale che come oggetto della confisca ha sempre considerato il provento illecito, ovvero ogni vantaggio economico derivato dal reato.
E' sufficiente ricordare la Convenzione di Vienna del 20 dicembre 1988 in materia di traffico illecito di stupefacenti che prevede la confisca per i proventi da reato definiti come qualsiasi bene proveniente direttamente o indirettamente attraverso la commissione di un reato.
Gli stessi concetti sono espressi dalla Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (Parigi, OCSE del 17 dicembre 1997).
Infine anche con la decisione - quadro relativa alla confisca dei beni, strumenti e proventi di reato del 24 febbraio 2005 della UE per provento del reato si è ritenuto ogni vantaggio economico derivato da reati
Non mancano certo decisioni che suggeriscono una interpretazione più restrittiva della nozione di profitto e che sottolineano la necessità di una stretta relazione tra il profitto e la condotta illecita per evitare una estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa scaturire da un reato (SS.UU. penali, 24 maggio 2004, - 9 luglio 2004, n. 29951, Curatela fallimentare in proc. Focarelli, rv. 228166).
La Corte, che con tale decisione ha in realtà superato altro e risalente indirizzo ancora più rigoroso (vedi Cass., Sez. VI penale, 2 aprile 1979 - 31 ottobre 1979, n. 9091, Milanesio, rv. 143304, che aveva affermato che affinchè una cosa possa ritenersi il prodotto o il profitto di un reato, e sia confiscabile ai sensi dell'articolo 240 c.p., occorre una stretta correlazione diretta col reato medesimo e una stretta affinità con l'oggetto di questo, dovendosi considerare irrilevante ogni altro nesso di derivazione meramente indiretto e mediato), ha precisato che nella formulazione dell'articolo 240 comma I c.p. per profitto del reato si deve intendere il vantaggio di natura economica che deriva dall'illecito, quale beneficio aggiunto di tipo patrimoniale, che deve comunque essere di diretta derivazione causale dall'attività del reo, intesa quale stretta relazione con la condotta illecita (vedi anche Cass., Sez. VI penale, 23 giugno 2006 - 2 ottobre 2006, n. 32627, La Fiorita società cooperativa arl, rv. 235636, che ha inteso il profitto come immediata conseguenza dell'azione criminosa).
Sul carattere immediato e diretto della pertinenza della cosa da confiscare con il reato hanno fatto leva le Sezioni Unite (SS.UU. penali, 17 dicembre 2003 - 19 gennaio 2004, n. 920, Montella, rv. 226490) anche per tratteggiare i caratteri distintivi della confisca di cui all'articolo 240 c.p. da quella prevista dall'articolo 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, nonché la VI Sezione (Cass., Sez. VI penale, 29 marzo 2006 - 17 luglio 2006, n. 24633, Lucci ed altro, rv. 234729) che ha individuato la ratio del nuovo istituto della confisca per equivalente nel superamento di quegli ostacoli o difficoltà per la individuazione dei beni in cui si incorpora il profitto iniziale, nonché nella necessità di ovviare ai limiti che incontra la confisca dei beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego, potendo riguardare beni che non hanno neanche un collegamento diretto con il singolo reato.
Anche parte della Dottrina ha sottolineato la necessità di un nesso causale tra le cose da confiscare ed il reato per poi concludere che la nozione di profitto era riconducibile soltanto al primo rapporto di scambio come fonte del profitto stesso, da intendersi come conseguenza economica immediata del reato.
Va detto che le argomentazioni poste a fondamento delle interpretazioni più rigorose (vedi ad esempio anche quanto sostenuto da SS.UU. 17 dicembre 2003, Montella, già citata, secondo la quale non possono essere prese in considerazione relazioni mediate o indirette tra il bene costituente profitto ed il reato non potendosi lasciare alla discrezionalità creativa dell'interprete la determinazione dei presupposti di applicabilità della confisca) non sembra possano mettere in discussione quanto in precedenza sostenuto perché non appaiono giustificate dalla lettera della norma in discussione che, come si è già chiarito, pretende soltanto un rapporto di pertinenzialità tra il bene da confiscare o sequestrare ed il reato commesso e dalla ratio della normativa nazionale ed internazionale in materia di sequestro e confisca che si è andata sviluppando negli ultimi anni.
Il legislatore, infatti, sempre più consapevole che per aggredire il crimine è necessario eliminare la possibilità per l'agente di assicurarsi il profitto del reato, dal momento che scopo di gran parte dei più gravi reati è proprio l'arricchimento, ha inteso costruire un sistema complesso che consenta in primo luogo la confisca del profitto immediato, poi, sempre in base all'articolo 240 c.p., la confisca del cd. profitto indiretto o mediato, ovvero dei beni che siano causalmente riconducibili alla attività del reo ed, infine, per quel che concerne i delitti contro la pubblica amministrazione, la confisca per equivalente di cui all'articolo 322 ter c.p..
Insomma è fuori dubbio che la previsione della obbligatorietà della misura per un rilevante numero di gravi reati, tra i quali quelli contro la Pubblica Amministrazione, abbia comportato una accentuazione sia della finalità general - preventiva sia di quella sanzionatoria della confisca, come del resto è stato messo in evidenza anche dalla Suprema Corte (SS.UU. 28 aprile 1999 - 8 giugno 1999, n. 9, Bacherotti, già citata).
Del resto anche la più recente Dottrina ha affermato che le posizioni più rigorose apparivano superate sia dagli strumenti sopranazionali (decisione quadro dell'UE sulla confisca già richiamata; Convenzione del C.d.E. sul riciclaggio) nei quali è accolta una nozione ampia di profitto, sia dalle recenti riforme in tema di confisca del profitto del reato.
Non si può che concordare con siffatta impostazione e ribadire, quindi, la soluzione già indicata e cioè che il bene costituente profitto è confiscabile ai sensi degli articoli 240 e 322 ter, comma I, prima parte c.p. ogni qualvolta detto bene sia ricollegabile causalmente in modo preciso alla attività criminosa posta in essere dall'agente.
E' necessario, pertanto, che siano indicati in modo chiaro gli elementi indiziari sulla cui base determinare come i beni sequestrati possano considerarsi in tutto o in parte l'immediato prodotto di una condanna penalmente rilevante o l'indiretto profitto della stessa, siccome frutto di reimpiego da parte del reo del denaro o di altre utilità direttamente ottenuti dai concussi.
Francamente non risulta facilmente comprensibile una interpretazione della norma in argomento diversa da quella prospettata, che consenta la confisca del danaro ricevuto dal concussore e non anche del bene immobile acquistato con tale danaro perché non di diretta derivazione causale dall'attività del reo, quando vi siano elementi che riconducano con certezza il bene alla attività criminosa posta in essere.
8) Conclusioni
In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato.
Infatti dalla ordinanza impugnata si desume che è del tutto pacifico che il M. abbia chiesto danaro alle due parti lese proprio per acquistare il casale con corte circostante in sequestro.
La somma versata dai concussi corrisponde a quella utilizzata per la compravendita.
Tali punti possono ritenersi pacifici perché non contestati.
Orbene non vi è alcun dubbio che vi siano precisi elementi indiziari per ritenere che l'immobile in sequestro sia stato acquistato dal M., ed intestato alla moglie S., con il danaro ottenuto dai concussi.
Non solo il danaro, ma anche l'immobile acquistato con quel danaro debbono, quindi, in base ai principi dinanzi stabiliti essere considerati profitto del reato.
Ciò perché il bene immobile costituisce la trasformazione del danaro ottenuto per l'attività criminosa posta in essere ed è, quindi, causalmente riferibile direttamente al delitto commesso.
Essendo, quindi, possibile la confisca del bene immobile in forma specifica ai sensi dell'articolo 322 ter comma I parte prima e non essendo necessaria quella per valore equivalente, è del tutto legittimo il provvedimento di sequestro preventivo emesso ai sensi dell'articolo 321 comma II bis c.p.p. dal GIP di Velletri, così come statuito dal Tribunale di Roma con la ordinanza impugnata.
Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese del procedimento del ricorrente.
 
P.Q.M.
 
Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione rigettano il ricorso e condannano il ricorrente a pagare le spese del procedimento.